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Carlo Ottaviano per "il Messaggero"
Siamo il Paese dai grandi primati nei concorsi internazionali per la miglior qualità dell'olio extravergine d'oliva. Adesso puntiamo a vincere anche con le olive da tavola.
Attualmente per consumo e produzione ci precedono gli spagnoli, ma la passione per le circa 80 varietà made in Italy cresce di anno in anno, tanto che negli ultimi 12 mesi nei soli supermercati sono stati spesi 226 milioni di euro: +18,3% annuo per le olive ripiene, +13% per quelle fresche e +10,4% per le miste. In verità sono sempre piaciute: nel I secolo dopo Cristo l'agronomo romano Columella le aromatizzava con l'aceto, il mosto, il lentisco, i semi di finocchio.
Raccolte dall'albero ancora acerbe (quindi verdi) o più mature (nere) hanno però il pungente sapore amaro da eliminare. Come? In salamoia (acqua e sale) per una quarantina di giorni; sott' olio una decina di giorni in meno; venti giorni in tutto se ricoperte completamente di sale (grosso e fino) in barattoli chiusi; al forno, infine, per velocizzare (ma dopo averle tenute dieci giorni in acqua sempre pulita).
NOMI DA RIDERE
L'Italia, patria della biodiversità col suo record di 533 cultivar da cui estrarre l'olio (la Spagna, primo produttore mondiale, ne ha solo 70) ha un patrimonio unico anche per le olive da tavola. In L'assaggio delle olive da tavola (OlioOfficina, 12 euro), l'esperto di analisi sensoriale e membro del Consiglio oleicolo internazionale Roberto De Andreis ne descrive le proprietà.
Tra le più polpute, ecco l'Ascolana tenera, la grossissima Bella di Cerignola, la calabrese Carolea. Alcune fanno sorridere per i nomi che richiamano le forme: la Giarraffa siciliana è detta anche Cacata di chioccia; la buonissima Cucco abruzzese è nota come Coglioni di gallo. È più Gentile di nome e di fatto invece la Majatica di Ferrandina (Basilicata), adatta per la preparazione di olive essiccate.
In Sicilia a Oriente c'è la Nocellara etnea, a Occidente la Nocellara del Belice. Anche se, nell'isola, la giovanissima chef Francesca Barone dichiara di «preferire in cucina la Verdese, che preparo con una salamoia arricchita con peperoncino, sedano, aglio e rametti di finocchietto selvatico. Mi piace perché è un'oliva molto profumata, dai forti sentori di carciofo e mandorla e ha un retrogusto amarognolo che esalta i sapori degli altri ingredienti».
EFFETTI SPECIALI
Se a Nord spopola sulle tavole la piccola Taggiasca, nel centro Italia la parte del leone la fa l'Itrana, più nota come Oliva di Gaeta Dop. Può essere verde o nera (anzi violacea). Come valutare una buona oliva? Uno dei criteri di De Andreis è che deve essere croccante e fare quasi rumore quando si addenta.
Non va bene se vi sembra di aver mangiato una pesca sciroppata; ok invece se v' è sembrato di aver spezzato un gambo di sedano. Il team di OlioOfficina ha anche predisposto delle Schede di assaggio (come si fa per il vino), con i parametri per valutare salato, amaro, acido nonché durezza, fibrosità, croccantezza.
Infine, scelta la varietà e selezionata la più buona, per gustarla non serve stupire con gli effetti speciali degli chef: provatene una solitaria col Martini, usatele per arricchire un'insalata o dare gusto a una bruschetta. O anche mangiatele semplicemente nude e crude.
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