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Guido Petrangeli per www.huffingtonpost.it
Facebook è diventato un pericolo per la democrazia? Questa domanda ci arriva dalle rivelazioni dei Facebook paper, la raccolta di documenti usciti dalla talpa Frances Haugen e consegnati al Congresso Usa. Al centro dello scandalo i famigerati algoritmi di Facebook e la mancanza di un grande moderatore che avrebbero portato a diffondere in tutti i paesi del mondo campagne di disinformazione e contenuti che sfiorano i toni da guerra.
frances haugen ex manager di facebook 12
Una nuova inchiesta, pubblicata su Mit Review, ha svelato come Facebook e Google stiano pagando milioni di dollari agli operatori di pagine acchiappaclick, finanziando questa disinformazione globale. Parliamo di quegli editori che pubblicano contenuti fuorvianti e fake-news allo scopo di attirare il maggior numero possibile di utenti e generare grosse rendite pubblicitarie.
Un’accelerazione di questo fenomeno è avvenuta in concomitanza con il lancio degli Instant Articles di Facebook, un prodotto che ha consentito agli editori di creare direttamente all’interno di Facebook dei contenuti interattivi.
Questa mossa, nata per velocizzare i tempi di lettura degli articoli, è servita a Facebook per raccogliere pubblicità online. Infatti con questo nuovo sistema gli articoli si aprono direttamente all’interno di Facebook che diventa così proprietario dello spazio pubblicitario.
In poche parole il social di Zuckerberg consente agli editori di guadagnare mostrando nei loro articoli la pubblicità degli inserzionisti di Facebook. Se Instant Articles è caduto in disgrazia per quanto riguarda la corte dei grandi editori mainstream, lo stesso non può dirsi per una schiera di piccoli e nuovi produttori di contenuti digitali. Tra cui vanno annoverati tantissimi editori acchiappaclick.
Ma c’è anche un altro fattore tecnico degli Instant Articles a far gola a questi imprenditori, ovvero la possibilità di aprire più domini in questa sezione e riprodurre in modo esponenziale lo stesso identico contenuto. Una manna dal cielo per la strategia clickbait.
Un documento interno dell’azienda, riportato per la prima volta dal MIT Technology Review, mostra che queste tattiche avevano consentito ad alcune aziende situate in Macedonia e Kosovo di raggiungere quasi mezzo milione di americani prima delle elezioni del 2020.
Molte di queste aziende oggi monetizzano sia con Instant Articles che con AdSense di Google, ricevendo pagamenti da entrambe le società. Ma ovviamente Facebook e Google, grazie ai milioni di click portati da questi produttori digitali, riescono a strappare contratti più convenienti agli inserzionisti.
Come rivela lo studio del Mit Review, i casi delle aziende clickbait localizzate in Macedonia e Kosovo che pubblicavano contenuti per le elezioni negli States ci indica che molto spesso questo fenomeno sfrutta la delocalizzazione trasformando il dibattito politico in denaro.
La ricerca ha anche scoperto che il 75% degli utenti che sono stati esposti a contenuti fuorvianti provenienti dalle aziende site in Macedonia e Kosovo non aveva mai seguito nessuna di queste pagine specifiche. Il sistema di raccomandazione dei contenuti di Facebook li aveva invece inseriti nei loro feed di notizie.
Questo fenomeno fa sì che quando lo stesso contenuto viene amplificato da vari soggetti può uscire dalla rete chiusa dei nostri contatti personali per raggiungere milioni di utenti. Il tutto si traduce in una macchina capace di determinare i trend della rete e influenzare in modo determinante l’opinione pubblica digitale.
Se in realtà gli editori fraudolenti hanno come scopo quello di monetizzare il più possibile, senza un fine politico, nella pratica questa distinzione non esiste. Infatti quando si verificano particolari eventi, come le elezioni, questi editori si spostano su tematiche altamente divisive, sulla propaganda politica e fake news perché ottengono così un maggiore coinvolgimento.
Il cluster di pagine macedone è un ottimo esempio: durante le presidenziali usa del 2020, l’insurrezione del 6 gennaio e l’approvazione della legge antiabortista del Texas, questa rete ha cavalcato contenuti politi.
In queste particolari fasi gli editori clickbait arrivano a vendere il loro vasto pubblico di Facebook a pagine politiche che aumentano così il livello di popolarità online. Un altro esempio di come funziona questo sistema si trova in Birmania dove nell’ottobre 2020 Facebook ha chiuso una serie di pagine e gruppi impegnati in comportamenti coordinati di clickbait.
Un’analisi della società di ricerca Graphika ha scoperto che queste pagine si occupavano principalmente di gossip ma in particolari frangenti critici ha virato su propaganda politica e disinformazione sul covid-19. Decine di pagine con più di 1 milione di follower ciascuna, di cui la più grande superava i 5 milioni, ha inondato la rete con campagne di disinformazione di massa.
In questo degradato ambiente digitale ha dunque soffiato una feroce propaganda anti-musulmana, veicolata da fake-news e bufale, che ha acuito tensioni etniche e religiose già pericolosamente alte.
La Birmania vive una situazione in cui le 10 pagine facebook di informazione più coinvolgenti sono in mano a editori acchiappaclick: i contenuti di basso livello hanno sopraffatto tutte le altre fonti di informazione. Un pericolo meno virtuale di quanto si possa immaginare visto che alla fine ha portato alla morte di 10.000 persone di fede musulmana e allo sfollamento di altre 700mila.
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