DAGOREPORT – IN POLITICA IL VUOTO NON ESISTE E QUANDO SI APPALESA, ZAC!, VIENE SUBITO OCCUPATO. E…
Giovanni Bianconi per il “Corriere della Sera”
«So’ contento che è uscito Michelino», disse un giorno Massimo Carminati nella macchina in cui una microspia intercettava ogni parola.Si riferiva a Michele Senese, campano di Afragola trapiantato a Roma, condannato a otto anni di galera per droga, appena liberato per decorrenza dei termini di detenzione preventiva. Era il 23 gennaio 2013.
Oggi, due anni dopo, sia Carminati che Senese sono nuovamente in prigione, entrambi al «carcere duro». Dopo l’ex estremista nero accusato di essere il capo di un gruppo criminale chiamato «Mafia capitale», anche il pregiudicato considerato in stretti rapporti con la camorra napoletana del clan Moccia — nonostante l’assoluzione dal reato di associazione mafiosa — è finito al «41 bis».
Niente più proscioglimenti per asserite infermità mentali o arresti domiciliari in cliniche dalle quali Michele ‘o pazzo continuava a comandare; ora c’è un ergastolo per omicidio e il divieto d’incontro con gli altri detenuti e i familiari, tranne le poche ore mensili previste dal regime penitenziario riservato ai boss, regolarmente video-registrate.
È un altro passo dell’offensiva della Procura di Roma contro la criminalità cittadina in odore di associazione mafiosa. Ancora da dimostrare per Carminati, e sancita dalla sentenza di primo grado che il 31 ottobre scorso ha condannato Senese al carcere a vita per l’uccisione del narcotrafficante Giuseppe Carlino, assassinato a settembre del 2001: esecuzione ordinata proprio da Senese, che in quel periodo era detenuto, per vendicare l’omicidio del fratello Gennaro avvenuto 4 anni prima; così ha stabilito il giudice che ha riconosciuto anche l’aggravante del favoreggiamento al gruppo camorristico all’interno del quale sarebbe maturato il delitto.
Il nome di Senese, 57 anni, ritorna nelle carte dell’inchiesta su «Mafia capitale» proprio per i suoi rapporti con Carminati che, nell’impostazione dell’accusa, dimostrano «la fluidità delle relazioni criminali» tra i presunti boss della città.
Il 30 aprile 2013, quando «Michelino» era libero ma si muoveva con molte precauzioni nel timore di nuove indagini (fondato: fu riarrestato due mesi dopo, proprio per l’omicidio Carlino), i carabinieri del Ros hanno filmato e fotografato un suo incontro con Carminati dentro e fuori un bar, durato più di mezz’ora. «La conversazione — hanno riferito gli investigatori — inizialmente molto cordiale, dopo qualche minuto si movimentava al punto che Carminati e Senese apparivano palesemente contrariati e iniziavano a inveire l’uno nei confronti dell’altro, lasciandosi in maniera brusca».
Quando hanno chiesto al ministro della Giustizia l’applicazione del «carcere duro», i pubblici ministeri guidati dal procuratore Pignatone hanno sottolineato «la perdurante operatività nella provincia di Roma del sodalizio di tipo camorristico promosso e diretto da Michele Senese, il quale è risultato mantenere contatti con altre realtà criminali radicate nella capitale».
Pochi giorni dopo hanno sollevato il velo sull’indagine nei confronti dell’ex estremista nero che frequentava lo stesso studio legale di Senese; particolare che garantiva, secondo gli inquirenti, la «circolarità informativa tra il sodalizio capeggiato da Senese e quello diretto da Carminati».
Sul conto di Michele ‘o pazzo gli inquirenti,denunciano i proscioglimenti ottenuti «per vizio totale di mente», con conseguente ricovero negli ospedali psichiatrici anziché in prigione. In un’altra inchiesta è emerso che «ha pagato la cifra di 70.000 euro per ottenere una perizia medica compiacente e far risultare artatamente la sua infermità mentale». Inoltre, «durante i periodi di detenzione ha continuato a impartire disposizioni, rimanendo il principale riferimento per gli affiliati liberi», anche attraverso «colloqui con parenti, affini e conviventi» che gli avrebbero fornito «i necessari aggiornamenti su ciò che accade all’esterno».
Ecco perché pure a Senese è stato applicato il «41 bis»: Carminati sta a Parma, nello stesso carcere in cui è rinchiuso Riina; a lui è toccato quello milanese di Opera, dove si trova Provenzano.
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