DAGOREPORT - BLACKSTONE, KKR, BLACKROCK E ALTRI FONDI D’INVESTIMENTO TEMONO CHE IL SECONDO MANDATO…
1 - LE NEOPLASIE A TESTICOLI, PROSTATA E VESCICA SONO QUELLE CHE CAUSANO PIÙ MORTI
Enzo Cusmai per “il Giornale”
Ogni anno 36.000 maschi italiani sono colpiti da un tumore alla prostata, a 2.000 viene invece diagnosticato un tumore al testicolo, a 21.000 un tumore alla vescica.
Se leggendo questi dati non scatta la voglia di farsi una visitina dall'urologo ci pensa la Fondazione Umberto Veronesi a risvegliare gli animi maschili dal torpore, dedicando loro un progetto che si chiama Sam: Salute al maschile (ieri sera si è tenuta la serata di gala a Milano per la raccolta fondi dedicati alla ricerca sulle patologie maschili).
In sostanza, gli esperti vogliono spiegare a tutti i maschietti italici che la scienza e medicina hanno portato a notevoli progressi nella cura e nel trattamento dei tumori maschili: ad oggi, le probabilità di sopravvivenza a 5 anni per il tumore alla prostata sono del 90%, per il tumore al testicolo del 94% e per quello alla vescica dell'80%.
Dunque, gli strumenti per debellare queste insidiose patologie ci sono, basta usarli. Il problema è che gran parte dei maschi italiani sono refrattari a farsi controllare. Gli uomini vanno meno dal medico, fanno un utilizzo inferiore di farmaci e si vaccinano meno delle donne.
La così detta prevenzione sembra appannaggio del gentil sesso che supera pigrizia e timidezza e si sottopone agli screening necessari per allontanare lo spettro del cancro, alla mammella, alle ovaie, all'utero. Al contrario, gli uomini fanno i duri. Il medico lo vedono solo da bambino. Le mamme scoprono che «è iniziato lo sviluppo» dei proprio figli verso i dodici anni solo perchè il pediatra riesce ancora visitare accuratamente ogni parte del corpo del ragazzino. Ma quando scattano i 14 anni, addio pediatra e controlli al basso ventre.
Anni fa, un tagliando approfondito veniva fatto dal medico militare verso i diciotto anni. Ora, senza la naia obbligatoria, si è persa anche la possibilità d'intercettare precocemente molti disturbi che venivano riscontrati alla visita di leva. Così in Italia meno del 5% dei ragazzi sotto i 20 anni ha fatto una visita dall'urologo a differenza del 40% delle ragazze coetanee è stata almeno una volta da un ginecologo.
La triste realtà è che gli uomini, giovani o meno, si presentano dal medico con un disturbo in fase avanzata, trascurato per settimane o mesi, talvolta anni. E le statistiche registrano il fenomeno della noncuranza e della disinformazione. C'è un aumento preoccupante delle patologie della sfera riproduttiva e sessuale maschile, spesso legate a comportamenti scorretti o dannosi acquisiti già in età giovanile. Negli ultimi anni c'è stata un'esplosione di malattie sessualmente trasmissibili (soprattutto nella fascia di età 20-35 anni) che procurano infertilità e problemi dell'apparato riproduttivo maschile.
C'è poco da far spallucce, dunque. Le patologie colpiscono nel mucchio e ogni fascia d'età ha i suoi guai. Il varicocele, per esempio, riguarda circa un ragazzo su quattro tra i 15 ai 25 anni di età, a cui si aggiungono le sempre più frequenti malattie sessualmente trasmissibili. Dai 35 in su, spunta l'ipertrofia prostatica benigna, l'aumento di volume della ghiandola che inizia a dare sintomi generalmente intorno ai 50, diventando un disturbo vero e proprio (più o meno grave) per circa la metà dei sessantenni.
La prostatite, invece, è un'infiammazione che interessa un maschio su quattro sopra i 65 anni. Il più diffuso tumore maschile è il carcinoma della prostata, di cui ogni anno si ammalano circa 36.000 italiani. Che fare per prevenire? Gli esperti consigliano controlli fin dai 18 anni ed esami di prevenzione per diagnosi precoce dei principali tumori maschili. Il resto lo fa la scienza che va sostenuta il più possibile, anche con una semplice donazione.
2 - SE I MASCHI RISCHIANO IL CANCRO PER TROPPO PUDORE
Vittorio Feltri per “il Giornale”
Le donne sono più provvedute degli uomini in quanto a prevenzione. È assodato. Periodicamente, si fanno controllare (non oso dire palpare perché dalle nostre parti, lombarde, è un verbo erotico e io sono pudico, si fa per dire) il seno e ispezionare l'utero, le zone maggiormente a rischio tumori.
Ciò agevola diagnosi precoci e interventi tempestivi che, il più delle volte, consentono guarigioni ovvero un allungamento della vita. Rispetto a un tempo, il costume sanitario femminile si è evoluto, indiscutibilmente. Il merito è stato soprattutto di Umberto Veronesi, medico e scienziato talmente noto e celebrato che non vale la pena di sunteggiarne la biografia. È persona di vasta cultura, non soltanto scientifica, e il suo sapere non incide soltanto in sala operatoria, ma anche sull'educazione delle pazienti che hanno così capito come comportarsi per schivare guai irreparabili. All'illustre clinico, che mi onora della sua amicizia, la stessa cosa non è però riuscita con i maschi, forse perché non hanno le tette, per non parlare dell'utero.
Mi rendo conto: questa mia affermazione, un tantino tautologica, risulterà superficiale al lettore. Cerco quindi di approfondire, puntando sulla mia esperienza in fatto di rapporti con i dottori, la cui consultazione è indispensabile per sapere a che punto ti trovi del viaggio che ha per terminal (indesiderato) la tomba. Vado giù piatto. Mi vergogno a spogliarmi davanti a qualcuno (qualcuna) che conosco, figuriamoci a un estraneo. Un aspetto del problema, questo, tuttavia superabile. Problema che diventa invece un dramma qualora essere nudi non basti, dovendo il medico procedere a esami che comportino intromissioni nel corpo.
Si sa che il cancro più frequente negli uomini oltre la cinquantina è quello della prostata, una ghiandolina - dicono - che l'usura trasforma in fonte di sciagure, dall'impotenza in su. Quando succede il patatrac, tu, malato inconsapevole, non te ne accorgi manco per niente perché è indolore. Oddio qualche segnale di inefficienza si manifesta: ti scappa la pipì ogni due per tre. Ma non ci fai caso: pensi di aver bevuto troppa acqua. A lungo andare trovi sempre un amico che ti racconta i suoi conflitti causati dalla prostata, nei quali identifichi i tuoi, cosicché ti decidi a prendere l'appuntamento con l'urologo. A me è capitata un'urologa.
Lì per lì sono stato tentato di fuggire con un pretesto idiota: mi scusi, ho lasciato l'auto in divieto di sosta. Debole, come scusa. Sono rimasto immobile, rassegnato. La dottoressa, dopo un breve interrogatorio, mi ha fatto stendere sul lettino ingiungendomi di togliermi non solo i pantaloni, ma anche le mutande. Avete capito bene: mutande. E un uomo smutandato è ridicolo per definizione. Fosse finita qui.
La gentile signora mi ha spalmato un unguento e mi ha letteralmente sodomizzato, senza neanche un bacio, un fiorellino. Mai provato tanto imbarazzo. Lei, invece, era a suo perfetto agio. Non finiva più di ispezionare. Si è limitata a dire che ce l'avevo un po' ipertrofica e che, per prudenza, sarebbe stata opportuna una biopsia. «Non subito: fra due giorni», ha detto, senza muovere un muscolo facciale. Non potevo sottrarmi.
Trascorse 48 ore, mi presento all'ospedale. Tutto era già pronto. Solito sbiottamento, e avanti con la seconda terrificante sodomizzazione. Peggiore della prima. Ignoro quanti strumenti il medico donna abbia introdotto disinvoltamente - direi sadicamente - nel mio deretano umiliato e offeso. Ho avuto l'impressione che per arrivare al capolinea abbia usato anche uno scooter.
Una settimana più tardi, il responso: negativo. Sollievo accompagnato da un impegno: d'ora in poi eviterò al mio didietro di subire un affronto del genere. E invece mi è accaduto di peggio: i diverticoli mi hanno costretto alla colonscopia. Vi risparmio i dettagli tranne uno: l'ha eseguita la dottoressa Zenia Pirone del Fatebenefratelli, bravissima e competente. La quale, intuendo il mio stato d'animo sconvolto all'idea di mostrarmi col sedere per aria, ha convocato l'anestesista - donna pure lei, giovane per giunta - e mi ha fatto addormentare.
Il disastro è avvenuto al risveglio allorché la dottoressa Pirone con un sorriso mi ha annunciato che trattavasi, appunto, di diverticoli e non di tumore. D'accordo, bella notizia. Però, mentre parlava, immaginavo il suo disgusto nel rovistare all'interno del mio intestino, mai esibito ad alcuno. La narrazione termina qui. Suppongo spieghi più efficacemente di qualsiasi ragionamento psicologico il motivo per cui noi maschi siamo riluttanti, assai più delle signore, alle visite mediche raccomandate per prevenire le malattie fatali. Non siamo afflitti da un complesso di inferiorità: siamo inferiori.
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