DAGOREPORT - L’ASSOLUZIONE NEL PROCESSO “OPEN ARMS” HA TOLTO A SALVINI LA POSSIBILITA’ DI FARE IL…
GRAZIA LONGO per la Stampa
«Mia figlia non è stata vittima di bullismo ma di razzismo. Alcune ragazze inglesi l’hanno insultata e picchiata a morte e tutti ci hanno abbandonati, dalla polizia e l’ospedale di Nottingham all’ambasciata italiana».
Hatim Dawod Moustafa, 50 anni, egiziano, è il padre di Mariam, 18 anni, nata e cresciuta ad Ostia fino al 2013 quando si è trasferita insieme alla famiglia a Nottingham dov’è morta il 14 marzo dopo tre settimane di coma. Hatim risponde al telefono dal Regno Unito e, forte dei 22 anni vissuti ad Ostia, parla correttamente l’italiano. Il caso verrà trattato questa sera in televisione dalle «Iene» su Italia 1.
Ha saputo? La procura di Roma ha aperto un fascicolo per omicidio e ha chiesto chiarimenti agli inquirenti inglesi.
«Questa è una cosa positiva, ma è troppo tardi. Mia figlia, come cittadina italiana, andava aiutata prima. E invece, quando era in ospedale io ho telefonato più volte all’ambasciata italiana ma nessuno è mai venuto a visitarla. Nessuno si è dato da fare per le indagini. E invece quando mia moglie ha avvertito l’ambasciata egiziana, ci è venuto a trovare addirittura l’ambasciatore e ha sollecitato la polizia per trovare quelle assassine».
Perché crede si tratti di razzismo e non di bullismo?
«Non era la prima volta che Mariam veniva aggredita. Era già successo ad agosto, le avevano rotto la gamba e picchiato l’altra mia figlia di 15 anni, Mallak. Avevamo sporto denuncia, ma non abbiamo ottenuto niente. Mariam era una studentessa modello, era appena stata ammessa alla facoltà di ingegneria e nonostante fosse romana erano evidenti le sue origini egiziane.
La chiamavano “rosa nera” e l’hanno picchiata. La polizia ci ha rilasciato il numero della pratica, ma non il verbale della nostra denuncia. Per questo avevamo bisogno di aiuto quando è stata di nuovo aggredita il 20 febbraio. Per poter facilitare le indagini e trovare le colpevoli».
Ma cos’è successo la sera del 20 febbraio?
«È stata colpita per strada da una decina di ragazze, è riuscita a salire su un autobus, ma hanno continuato a picchiarla anche lì. È svenuta, l’autista è intervenuto, ha detto a quelle ragazze di smetterla, ha chiamato l’ambulanza, ma non la polizia e le ragazze sono scappate».
E in ospedale com’è andata?
«Male. Malissimo. L’hanno tenuta 5 ore al pronto soccorso e poi l’hanno rimandata a casa. Mariam continuava a dire ai medici che aveva molto dolore, che era malata di cuore, ma non le hanno dato retta. Ha spiegato che era svenuta e che da bambina era stata operata al cuore al Bambin Gesù di Roma, eppure i medici inglesi non l’hanno ascoltata. A me hanno vietato di entrare nella sala del pronto soccorso dove c’era lei. L’abbiamo riportata a casa, ma il mattino dopo stava malissimo e neppure riusciva a parlare. Allora abbiamo chiamato l’ambulanza e in ospedale hanno poi scoperto lesioni al cervello dovute alle botte. È stata in coma, io e mia moglie non sapevamo davvero come fare. La disperazione per la nostra adorata Mariam e nessuno che ci aiutava. L’Inghilterra doveva essere la nostra salvezza, è stata la nostra fine».
Perché avete lasciato Ostia?
«Io c’ero arrivato nel 1991, nel 2010 ho ottenuto anche il passaporto italiano. Avevo aperto una pizzeria e, dopo 12 anni, un negozio di mobili a Fiumicino. Ma gli affari non andavo tanto bene e per dare un futuro ai miei tre figli, ho anche un ragazzino di 12 anni, ho preferito emigrare in Inghilterra. Roma ci era rimasta nel cuore, soprattutto a Mariam, ma comunque ci eravamo ambientati. Mariam voleva diventare ingegnere ed ero sicuro che avrebbe potuto realizzare il suo sogno. Ma i sogni non si avverano mai».
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