DOMANDE SPARSE SUL CASO ALMASRI – CON QUALE AUTORIZZAZIONE IL TORTURATORE LIBICO VIAGGIAVA…
Felice Cavallaro per il Corriere della Sera
Con lo sciuscià di Vittorio De Sica non hanno niente a che vedere. E nemmeno con i ragazzi neri che a New Orleans ballano il tip tap per strada offrendosi per lucidare le scarpe. Ma con i loro seggioloni simili a troni piazzati fra zone pedonali e piazze affollate da turisti ecco a Palermo i magnifici 12 lustrascarpe selezionati da Confartigianato per rilanciare questo vecchio mestiere sempre praticato dai maschi, ma adesso approdato di fronte al famosissimo Bar Mazara e davanti al Tribunale con due donne pronte a spazzolare, lucidare, impomatare.
Due signore, due «fimmini» oltre la quarantina, come direbbe Camilleri, che invitano clienti dubbiosi a fermarsi, a provare, spesso con difficoltà per «appena» 5 euro a prestazione. Come spiega Enza Lo Giudice, una single che scruta in via Magliocco i turisti in ciabatte, diretti verso il Teatro Massimo, ignari delle saracinesche chiuse per fallimento di quel famoso bar dove ogni mattina Tomasi di Lampedusa vergava una pagina del suo romanzo: «Ci fosse ancora il Gattopardo, si fermerebbe per far splendere le calzature, ma da qui passa un esercito con queste volgari infradito... E pure le femmine che guardano diffidenti».
Risentimento comprensibile per chi sogna uno stuolo di clienti con mocassini e stivali di cuoio. Ma la signora Enza che, come tutti, ha cominciato da due settimane scruta i possibili utenti pensando a quelli del padre: «Lui faceva davvero lo sciuscià, davanti al Teatro Massimo, mezzo secolo fa. E di clienti forse ne aveva di più». Storia familiare che ha incoraggiato la nuova lustrascarpe a partecipare al bando di Nunzio Reina, il presidente degli artigiani che ha imposto solo «un minimo di quattro ore».
Autonomia rimodulata proprio ieri da Enza, sotto l' ombrellone a protezione dei 35 gradi di Palermo: «Finora ho lavorato solo la mattina per tornare a casa da mia madre che ha 92 anni, ma da oggi fino a sera per intercettare passanti meno accaldati, sperando di convincere anche le donne». Come prova a fare al Tribunale anche Patrizia La Rosa, il seggiolone accanto al «Sanremo», il bar di avvocati e magistrati, un gestore pronto ad aiutare la nuova vicina per «parcheggiare» la sera all' interno e poi rimettere fuori la pesantissima struttura. «Cinquanta chili di legno massiccio.
Roba pensata per gli uomini perché forse non si aspettavano donne fra i 70 concorrenti...». A stupirsi in effetti sono un po' tutti. Pure le donne di passaggio, come conferma la signora La Rosa: «A tanti, a tante sembra brutto che a spazzolare le scarpe a un uomo sia una femmina. Ma è l' effetto di una mentalità gretta. Non si dovrebbe ragionare in questo modo. Altro che emancipazione. Siamo alla pari, anche nel lavoro, anche nei lavori considerati una volta prettamente maschili. Non si sono accorti di tassiste, camioniste, autiste di bus?». Al bar vede ondeggiare tanti mocassini, ma a fermarsi sono in pochi. «Sempre di fretta con i loro clienti. I magistrati?
Un panino e via. Ma, tornati al lavoro, almeno le scorte potrebbero venire qui...», azzarda La Rosa riflettendo su quella che a volte le sembra una «mission impossible». Soddisfatta a metà? «Il lavoro mi piace e mi sto adattando, anche se non è il sogno della mia vita. Il sogno era fare la segretaria di azienda, come per tanti anni, fino a chiusura dell' azienda. E, separata con una figlia di 26 anni ovviamente in cerca di lavoro, ho preso al volo anche l' opportunità di spazzole e creme».
Storia analoga a quella di via Magliocco dove l' erede del vero sciuscià ripercorre le orme paterne solo perché la fabbrica di scarpe dove lavorava ha ridotto la produzione da 150 a 50 paia al giorno: «E io che le facevo, adesso pulisco quelle delle grandi griffe che costano il triplo perché la gente corre dietro i marchi».
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