
DAGOREPORT - DA QUESTA MATTINA CALTAGIRONE HA I SUDORI FREDDI: SE L’OPERAZIONE DI ALBERTO NAGEL…
Barbara Palombelli per "Il Foglio"
Vorrei liberarmi di un'ossessione: i Kennedy. Ho il terrore di questo novembre 2013: 50 anni dall'assassinio di Dallas e già immagino i chilometri di carta e i fiumi di parole che stanno per essere profusi nell'ennesima rappresentazione della leggenda universale più diffusa al mondo. Un anniversario terribile. Mi perdonino in anticipo Walter Veltroni e Furio Colombo, amici di una vita, più ancora dei loro poemi temo il codazzo di finti americanisti imitatori dei suddetti. Mi scusino i fanatici del complotto eterno. Non sappiamo ancora chi abbia tolto di mezzo prima Jfk e poi Bob. Certo, non capita spesso un doppio attentato: a distanza di cinque anni, due fratelli uccisi valgono una celebrazione mondiale.
D'accordo, ma di qui al tormento quotidiano ce ne corre. Sembra ieri, eppure eravamo alle elementari, la tv cambiò programmazione... da allora, sono pronta a scommettere che non sia passata una settimana senza un Kennedy fra i piedi. Più che una telenovela, un incubo (probabilmente anche per loro e le loro famiglie). Volgarmente: che palle, non se ne può più. Il loro album di famiglia, sfogliato e consumato fino all'impossibile, ci è familiare più dell'Ave Maria. Chi erano, questi tizi, per meritare tanti file da occupare nella memoria di tutti noi?
L'Italia intera ha trasformato una dinastia politica in un totem da omaggiare, senza discussioni. Abbiamo accettato e perdonato le loro debolezze, la loro sfortuna, i misteriosi traffici di famiglia all'origine di una ricchezza immaginaria che forse non esiste (ancora pochi giorni fa, una figlia di Bob, Kerry, è venuta a Roma a chiedere fondi per le sue iniziative, boh).
Tutta colpa del nostro provincialismo? Certo, i Savoia non erano adatti come reali nazionali. Non belli, non simpatici, e poi un'altezza reale non si fidanza con un Maurizio Arena, attore bullo di Roma sud. Abbiamo provato a idolatrare gli Agnelli, ma anche loro ci hanno sfiancato, esaurito: troppe liti, poche gioie, troppa cassa integrazione e poche auto decenti. I Moro, nonostante l'assassinio molto più efferato di quello di Dallas, non li abbiamo mai degnati di un fotoservizio, abbiamo dimenticato i loro volti e le loro fisionomie (secondo me, un'atrocità assoluta: dovremmo avere loro nel cuore molto più degli americani).
Dei Kennedy abbiamo copiato lo stile, gli abiti, le scrivanie, le cravatte svolazzanti, le meditazioni al tramonto in spiaggia (Sabaudia meglio di Hyannis Port e Martha's Vineyard, Giovanni Malagò meglio di Bob ma le immagini potresti sovrapporle, cani compresi). Mario d'Urso, l'unico che passeggiava a Central Park con Jackie - fuggita dal clan con l'orrendo Onassis su un'isola deserta, della serie se li conosci i Kennedy li eviti - fra poche ore sarà assediato. I suoi ricordi e le sue testimonianze - mitica la gita in costiera amalfitana inizio Sessanta che impose il look della first lady americana a tutte le nostre mamme - saranno sviscerati in ogni dove. Prepariamoci, anche se non abbiamo niente da imparare. Sappiamo già tutto. Ci faranno ripassare. Sono preparata al peggio. Conosco più i Kennedy dei Palombelli. Non credo sia un bene.
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