DAGOREPORT - ED ORA, CHE È STATO “ASSOLTO PERCHÉ IL FATTO NON SUSSISTE”, CHE SUCCEDE? SALVINI…
Antonio E. Piedimonte Per “la Stampa”
«Ho pianto, ho esultato, ma voglio aspettare che sia davvero tutto finito. Ho avuto tante delusioni in passato». È un'emozione che vuole controllare, Sarah. Dopo la sentenza di ieri, la giovane avellinese non dovrà più sopportare gli sguardi di chi non riusciva a conciliare la ragazza che aveva davanti con ciò che leggeva sulla carta d'identità.
A renderlo possibile è stata una sentenza del Tribunale di Avellino che ha accolto la richiesta di riconoscimento del cambio di sesso anagrafico anche senza intervento chirurgico. E ha ordinato al Comune di «effettuare la rettificazione di attribuzione del sesso nel relativo registro da maschile in femminile».
I giudici hanno accolto la tesi presentata dallo studio legale De Stefano & Iacobacci, ritenendo di dare la priorità al rispetto del diritto alla salute, «garantito dall'equilibrio psico-fisico derivante dal riconoscimento del genere percepito». Passo non da poco, specie per chi ha vissuto il disagio di una profonda dicotomia psicofisica (tecnicamente: disforia di genere).
La storia è incominciata quando il suo nome era un altro, posso chiederglielo?
«Assolutamente no. Anzi, guardi, mi faccia una cortesia, lo scriva in grassetto che ci sono due cose che non devono mai chiedere a una ragazza transessuale, e una di questa è il vecchio nome».
E l'altra?
«Cos' ha tra le gambe. Scusi la brutalità».
Si figuri. Prosegua pure...
«Non credo sia una storia così diversa da tante altre. Sin da piccolina avevo le idee chiare.
Ero una bambina anche se il corpo diceva altro, e lo stesso, purtroppo, facevano tutti». Anche la sua famiglia?
«Quando avevo 7-8 anni mi portarono dallo psicologo. Disse che era una fase. Poi i miei genitori l'hanno capito, molti altri invece no».
È cresciuta in un paese piccolo, immagino ci siano state delle criticità...
«Meglio chiamare le loro cose con il loro nome».
Facciamolo.
«Sono stata bullizzata, dall'asilo alle scuole superiori».
Come l'ha affrontata?
«Con determinazione, forza, dolore. E con l'aiuto di mia sorella e di mia madre. E di chi ha saputo ascoltarmi. Perché non c'è solo l'aggressione dell'ignoranza e dei pregiudizi».
Che altro?
«C'è che una ragazza transessuale deve fare i conti anche con lo specchio. Si vede sempre sbagliata. Vive in un vortice di depressione costante. Conosco tante persone che non hanno retto e si sono rifugiate nella droga o nella prostituzione. Io ho resistito e combattuto».
E continua a farlo...
«Certo. Mica finisce. Ma non sono il tipo che si arrende. A 17 anni ho cominciato il percorso di transizione e a 18 quello ormonale».
E poi, la battaglia finita ieri per il cambio del nome.
«Sì, grazie agli avvocati Fabiola De Stefano e Stefano Iacobacci (che a giugno hanno seguito con successo un caso analogo, ndr)».
Prossimo step?
«Grazie alla sentenza ora potrò operarmi. Poi vorrei affermarmi professionalmente».
Il primo desiderio che le viene in mente?
«Vivo a Roma e lavoro nel campo dell'estetica. Sarebbe meraviglioso fare la truccatrice nel mondo dello spettacolo. Ora, mi scusi ma sono appena rientrata e vorrei farmi qualcosa da mangiare. Come vede, sono una ragazza normale che dopo il lavoro deve cucinare».
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