DAGOREPORT - BLACKSTONE, KKR, BLACKROCK E ALTRI FONDI D’INVESTIMENTO TEMONO CHE IL SECONDO MANDATO…
1 – CHE VERGOGNA IL MIO PREMIER BRITANNICO
Simonetta Agnello Hornby per “la Stampa”
BORIS JOHNSON CON LA MASCHERINA
Dal 1998 sono cittadina britannica e ne sono fiera. Questo non mi impedisce di provare una profonda vergogna di fronte al primo ministro Johnson: un buffone, un uomo squallido, volgare, un manipolatore.
Con le spalle al muro, ha provato a gettare fango su Italia e Germania stigmatizzando l' alleanza Mussolini-Hitler. Una insinuazione pseudo storica con cui ha creduto di far polvere e di poter giustificare l' alta percentuale di inglesi infetti di Covid. Johnson ha spiegato che l' Inghilterra è una "freedom loving country", e gli inglesi, a differenza degli italiani e dei tedeschi dell' anteguerra, rifiutano ordini dall' alto. Il presidente Mattarella ha risposto con la solita dignità: "Anche noi italiani amiamo la libertà, ma abbiamo a cuore anche la serietà".
BORIS JOHNSON CON LA MASCHERINA 1
La freedom loving country di cui parla Johnson non ha dato libertà ai popoli colonizzati, anzi ne ha uccisi tanti e innocenti. Penso anche ai nativi americani che gli inglesi hanno trattato in modo disumano, e che continuano a essere segregati e umiliati negli Stati Uniti e nel Canada. Noto che poche voci si sono sollevate per loro, nonostante il movimento Black Lives Matter.
Il Regno Unito non è una freedom loving country più di altri Paesi europei. È una nazione astuta che ha avuto l' intelligenza di invitare europei e stranieri discriminati per religione o politica: ha assorbito i rifugiati e gli emigranti perché facevano comodo come manodopera. Alla fine Johnson dice: "È quindi molto difficile chiedere al popolo britannico di obbedire uniformemente alle direttive oggi necessarie". Certo, è molto difficile per noi britannici, come per la gente di tutto il mondo, obbedire alle sue direttive, le direttive di un premier incoerente, privo di sani principi.
Credo nella giustizia e nel buon governo, e ho fiducia nel mio secondo Paese.
Johnson non rimarrà a lungo. Lui lo sa, ma non è intelligente come lui crede di essere. È un incompetente e non c' è giustificazione per tanta incompetenza: il volgare disprezzo per gli altri non fa che accelerare la sua caduta.
Boris Johnson, ultracinquantenne, è un personaggio tragico; ispirerebbe pietà se non fosse per il danno che ha arrecato al Regno Unito e al mondo. Il partito conservatore si sta rivoltando contro di lui. Non avrebbe vinto se non fosse stato per la debolezza del Partito laburista nella scelta di un leader di estrema sinistra e populista.
Anche Johnson è un populista nel suo genere. È un affabulatore, un comico, un attore. In siciliano lo si direbbe "un fimminaro", fino all' ultimo. Sa circondarsi di gente efficiente, determinata, che farebbe di tutto per ottenere i risultati voluti: sono i suoi special advisors. Famoso è Dominic Cummings, un uomo di grande intelligenza e astuzia che ama tanto la propria libertà da aver trasgredito le leggi del lockdown, clamorosamente. È rimasto impunito e ha avuto l' onore di dare una conferenza stampa nel giardino di Downing Street come nessun altro prima di lui.
Le indicazioni date al popolo da Johnson per sconfiggere il Covid cambiano settimanalmente, talvolta più spesso, sono contraddittorie e quasi incoerenti. Il popolo non lo stima e nemmeno i suoi colleghi al Parlamento, ma non c' è nessun altro in vista nel suo partito. I bravi e gli efficienti deputati non hanno il supporto della maggioranza del partito. Siamo di fronte a un processo di degradazione, non soltanto dei conservatori e del Parlamento, ma di tutto il Paese.
Io continuo a sperare che gli stessi conservatori si rivoltino contro di lui in nome di un "freedom loving party". I conservatori che hanno osato criticare in profondità il loro premier sono stati epurati. È questa la libertà di cui parla Johnson?
2 – DA CHURCHILL A CAPELLO STORIA DI DUE PAESI CHE NON SI SONO MAI AMATI
Filippo Ceccarelli per “la Repubblica”
La superiore libertà degli inglesi, la più efficace serietà degli italiani: al di là della sparata del premier Johnson e della replica del presidente Mattarella, vista in prospettiva sembra una di quelle dispute cui è difficile venire a capo.
Forse dipende dal Covid e parecchio ha pure a che fare con la Brexit, due eventi comunque destinati a cambiare il reciproco immaginario. E magari non c' entra tanto, o appena quanto basta per ricordarlo oggi, fatto sta che nel settembre del 2003, quando ancora faceva il giornalista allo Spectator , l' allora 39enne Boris interruppe le sue vacanze e raggiunse villa La Certosa dove, insieme con il suo amico e connazionale Nicholas Farrell, intervistò a lungo il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi.
E anche in questo caso, tra libertà e serietà, si perde la bussola, perché il Cavaliere si sbottonò dicendone di cotte di crude sui magistrati che erano dei pazzi, sui grandi giornalisti "gelosi" di lui, sulla guerra in Iraq che non lo convinceva e su Mussolini che in fondo non aveva ammazzato nessuno e anzi mandava i suoi oppositori a farsi un bel soggiorno sulle isole.
Poi però, viste le reazioni, smentì tutto a suo modo, cioè in allegria, rivelando che durante l' incontro i due britannici avevano bevuto un sacco di champagne. Al che il futuro premier del Regno Unito reagì: «Niente champagne, purtroppo, solo tè freddo». E pubblicò una seconda puntata.
L' Economist, d' altra parte, settimanale di diverso orientamento, aveva da poco giudicato Berlusconi "unfit", inadatto. Ma a dirla tutta, e con maggior forza dopo che il direttore di quell' illustre magazine ha in qualche modo rivalutato il Cavaliere, il sospetto è che per gli inglesi non esistano proprio, per principio e per definizione, presidenti italiani che risultino, a loro giudizio, adatti. Anche Prodi, per dire, non gli andava bene e per tutto il periodo in cui fu a capo della Commissione europea la stampa britannica lo trattò malissimo.
Ora, in questo campo è impossibile, oltre che ingiusto, generalizzare, ma pure gli italiani qualche pregiudiziale riserva contro gli inglesi ce l' hanno, o almeno gli viene fuori con una certa facilità - vedi la freddezza, se non peggio, mostrata nel momento in cui, era il 1982, la Marina di Sua Maestà andò a riconquistarsi le isole Falkland a scapito dell' Argentina, oltretutto a quei tempi guidata dai sanguinari generali golpisti.
Spropositato pare qui rammentare il contributo, non solo politico, della Gran Bretagna al Risorgimento, come del resto conviene tener fuori dall' odierno e lieve contenzioso la frase con cui durante l' ultima guerra mondiale il giornalista iperfascista Mario Appelius concludeva le sue perorazioni radiofoniche: "Dio stramaledica gli inglesi" (pure augurando loro "la mala notte").
Il punto, piuttosto, è che se nei rapporti fra popoli e nazioni la politica e la diplomazia possono mentire, l' interesse geopolitico e commerciale dice sempre la verità; e in questo senso fa riflettere un' annotazione di Churchill (si trova ne "Il Golpe Inglese" di Cereghino-Fasanella, Chiarelettere, 2011) che in un appunto del 1953 designa gli italiani quali "amici e avversari di infimo ordine!", là dove nel paese dell' understatement, quel punto esclamativo suona di inaudito rinforzo.
Si trattava, guarda caso, di petrolio: l' Italia come una minaccia agli interessi energetici inglesi nel Mediterraneo e specialmente in Medio Oriente.
Di qui, anche, un alternarsi di infastidita alterigia da una parte e indimenticabili soddisfazioni agonistiche dall' altra (il gol di Fabio Capello che ammutolì Wembley nel 1973); una storia intricata e spesso sotterranea che ha portato Londra a diffidare per mezzo secolo (con l' eccezione di Cossiga) dell' anticolonialismo di Enrico Mattei, poi del terzomondismo di Fanfani, quindi del filoarabismo di Moro e sempre del fervore papalino di Andreotti.
Ma ecco che tutto questo appare lontano e vicino, superato e attuale; come se invocare la presunta libertà degli inglesi e l' ipotetica serietà italiana servisse un po' a convincersi, con qualche sforzo, dell' una e dell' altra.
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