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Noemi Penna per la Stampa
Un cratere che brucia in mezzo al deserto del Karakum, in Turkmenistan, emanando un bagliore che, nella notte, è visibile a chilometri di distanza. La «Porta dell'Inferno» - è così che è stata ribattezzata - è un cratere largo circa 70 metri e profondo 20, formatosi non lontano dal villaggio di Derweze, che per pura coincidenza in italiano significa «porta», a 260 chilometri dalla c apitale Ashgabat.
A differenza di altrettanti effetti spettacolari della natura, la Porta dell'Inferno non è un fenomeno naturale, e nemmeno così antico. La sua storia è infatti cominciata appena 45 anni fa, nel 1971, quando i sovietici alla ricerca del petrolio impiantarono proprio quella zona una piattaforma di perforazione.
Poco dopo l'inizio dei lavori, le trivelle raggiunsero una sacca di gas naturale presente non troppo in profondità, causando un cedimento del terreno formato da roccia e sabbia: il buco si è inghiottito tutte le attrezzature ma per fortuna non causò vittime. E per evitare che ne facessero anche i gas sprigionati dal sottosuolo fu presa la decisione di incendiare quel pozzo, sperando le che fiamme esaurissero la riserva naturale.
Ma così non è stato. Almeno, non ancora. Quelle fiamme bruciano ininterrottamente da 45 anni e hanno così dato adito alla leggenda della «Porta dell'Inferno», ora diventata una meta turistica per decine di migliaia di persone ogni anno.
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