DAGOREPORT – CHI È STATO A FAR TRAPELARE LA NOTIZIA DELLE DIMISSIONI DI ELISABETTA BELLONI? LE…
Valentina Santarpia per il Corriere della Sera
No ai pantaloni corti, ai jeans con i buchi, alle canotte, alle magliette stracciate, ai cappellini, alle ciabatte. A scuola bisogna presentarsi con un abbigliamento «consono», recita il regolamento dell' istituto da Vinci Belluzzi di Rimini.
È una preside di vecchio stampo, la professoressa Sabina Fortunati?
«No, macché - ride lei -. Ma decoro e rispetto vanno recuperati. Forse abbiamo allargato le maglie un po' troppo, e invece gli studenti devono ricordare che la scuola è un' istituzione pubblica, dove si trasmettono valori e si educa ai principii».
La scuola vuol dare dritte estetiche?
«No, assolutamente. Non ingeriamo nella vita dei privati, né ne facciamo una questione estetica. E neanche pretendiamo di essere come un luogo sacro, dove si entra solo a capo coperto. Ma i ragazzi devono capire che ogni luogo comporta un atteggiamento adatto, che esistono contesti formali e informali, in base ai quali si sceglie come vestirsi. E che la cura della persona è la prima presentazione».
Come è nata l' esigenza di un regolamento?
«Dalle segnalazioni dei docenti, soprattutto.
Ma anche a me è capitato di vedere nei corridoi studenti con jeans a cui mancavano pezzi interi, e mi è venuto spontaneo chiedere loro: li avete pagati con soldi interi o bucati?».
Li costringete a crescere troppo presto?
«Per niente, li prepariamo al futuro. Quando iniziano a fare alternanza scuola-lavoro, con stage in azienda, devono capire che ci sono ambienti di lavoro dove non si può essere troppo sportivi o trasandati. Se vanno in gita, o al parco, o al pub, possono fare quel che vogliono».
Forse bisognerebbe educare anche i genitori, allora: certe mamme indossano jeans più strappati di quelli dei figli...
«Il dialogo tra scuola e famiglia è importante, e noi infatti cerchiamo la collaborazione dei genitori per far capire agli studenti che un abbigliamento può andar bene per accompagnarli a scuola ma magari non per parlare col preside».
Ha mai cacciato qualcuno dal suo studio?
«No, certo che no! Nessuno si è mai presentato in abiti sconvenienti. E un jeans un po' strappato non è come uno sbrindellato. Al massimo ho dovuto sopportare che masticassero la cicca, cosa fastidiosissima: ma sono stata brava, sono riuscita a stare zitta».
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