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Manuela Messina per La Stampa
Sarebbe stato pronto a diventare un «martire di Allah» e a farsi esplodere in un luogo simbolo di Roma o in Vaticano, Abderrahim Moutaharrik, il campione marocchino di kickboxing finito in carcere nell’aprile dello scorso anno con l’accusa di terrorismo internazionale per i suoi presunti legami con l’Isis.
Ne sono convinti i pm di Milano Enrico Pavone e Francesco Cajani che per il 28enne e per sua moglie Salma Bencharki hanno chiesto una condanna a 6 anni e mezzo di reclusione. Nel processo in corso con rito abbreviato davanti al gup Alessandra Simion, che potrebbe pronunciarsi oggi dopo gli interventi dei difensori, la procura ha chiesto anche 6 anni di carcere per Abderrahmane Khachia, anche lui marocchino e fratello di Oussama, morto «martire» in Siria.
Tre anni, 6 mesi e 20 giorni di reclusione è la richiesta della procura milanese per Wafa Koraichi, 24 anni, residente a Baveno sul lago Maggiore e sorella di Mohamed Koraichi, marocchino di 31 anni partito da Bulciago, in provincia di Lecco, per unirsi alle milizie dell’Isis insieme alla moglie Alice Brignoli e ai loro tre figli di 6, 4 e due anni. Moutaharrik – secondo quanto emerso nel corso delle perquisizioni avvenute il giorno dell’arresto del pugile - teneva nascosto sotto il letto un «pugnale da combattimento» simile a quello utilizzato per lo «sgozzamento» di un «infedele» da parte dell’Isis e ripreso in un video.
abderrahim moutaharrik isis italia
Stando alle indagini poi, l’ex pugile avrebbe ricevuto, ai primi di aprile, un ordine direttamente dal Califfato con un messaggio WhatsApp: «Ascolta lo Sceicco, colpisci! (...) fai esplodere la tua cintura nelle folle dicendo “Allah Akbar”». Ordine a cui avrebbe risposto: «Giuro sarò io il primo ad attaccarli (...) in questa Italia crociata, il primo ad attaccarla, giuro, giuro che l’attacco, nel Vaticano».
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