RIUSCIRÀ SALVINI A RITROVARE LA FORTUNA POLITICA MISTERIOSAMENTE SCOMPARSA? PER NON PERDERE LA…
Estratto dell'articolo di Gianni Giacomino Elisa Sola per "La Stampa"
«Puttana. Non sei capace a fare niente. Non sai nemmeno tenere la casa in ordine. Ti ammazzo. Ti spacco la faccia». Ventinove giugno, primo piano di un palazzo di periferia di Torino. Abdelkader Ben Alaya, muratore 48enne di origine tunisina, tappa la bocca della moglie Roua Nabi, 34 anni. Le torce il capo e le dice una frase che lei, in lacrime, riporta ai poliziotti che sono accorsi per tentare di salvarla: «Faccio venire in Italia mio fratello così ti uccide».
Non è morta il 29 giugno, Roua, che subiva minacce e maltrattamenti da quattro anni e che aveva chiamato le forze dell'ordine, temendo per la vita sua e dei suoi due figli, già il 23 novembre 2023. È morta poche ore fa. Una sola coltellata tra il cuore e un polmone. Davanti ai due ragazzini di 12 e 13 anni. Nella notte tra lunedì e martedì. Nella stessa casa dove il suo assassino le aveva giurato di ammazzarla. In un luogo in cui lui, arrestato a luglio e scarcerato dopo 12 giorni, non sarebbe potuto stare.
Così aveva deciso il tribunale del Riesame, che dopo l'arresto per maltrattamenti del 29 giugno, il 16 luglio, attenuando la misura di custodia cautelare, aveva ordinato per l'indagato il divieto di avvicinamento a 500 metri, con l'uso del braccialetto elettronico. Ma il dispositivo, martedì intorno a mezzanotte, non ha funzionato. E forse non era attivo nemmeno nei giorni precedenti. Il motivo è ignoto.
Stanno cercando una risposta gli inquirenti della Procura di Torino. Ben Alaya è alcolizzato e dipendente dalle droghe pesanti. E violento. «Mi picchia da quattro anni», aveva detto Roua. La pm Giorgia D'Errico dopo l'arresto del 29 giugno aveva ritenuto l'uomo pericoloso. E aveva chiesto per lui il carcere.
Il 2 luglio il gip aveva ordinato i domiciliari con l'uso del braccialetto elettronico. E il 12 luglio, non appena il dispositivo era stato trovato, l'uomo che minacciava di uccidere Roua era uscito di prigione. Poi, su richiesta dell'avvocato difensore Fabio Lombardo, il Riesame aveva attenuato ulteriormente la misura.
Stabilendo che per l'indagato fosse sufficiente il divieto di avvicinamento a 500 metri dalla donna. Avrebbe pesato sulla decisione il fatto che l'indagato avesse un'occupazione, che non avesse riportato condanne definitive, e una frase che era stata verbalizzata nella denuncia per maltrattamenti di Roua del 29 giugno: «Non teme per la sua incolumità», avevano scritto di lei.
Eppure Roua, in quella denuncia, la prima che faceva dopo anni di sevizie, aveva detto: «Ha iniziato a picchiarmi quando vivevamo in Tunisia. Lo ha sempre fatto. Anche in Italia. Beve e si droga. Il motivo per cui mi colpisce è che non vuole che io lavori. Non mi dà denaro. In primavera ho deciso che non ce la facevo più». A maggio Roua è andata in Tunisia per prepararsi una via di fuga.
Ha chiesto aiuto ai familiari. Ma quando è tornata a Torino, per prendere i figli e scappare, lui l'ha convinta o costretta a restare a Torino. E sono ricominciate le botte. E le minacce di morte. L'aggressione del 29 giugno è nata perché Ben Alaya ha strappato il permesso di soggiorno della donna. Non voleva che si salvasse. «Mi ha lanciato addosso piatti e sedie. E mi ha torto il collo tappandomi la bocca». [...]
«Mi ha picchiata dopo avermi coperto la bocca. Mi picchia sempre. Mi strappa i capelli. Mi toglie i soldi che ho», ha detto lei in lacrime agli agenti del commissariato Dora Vanchiglia, che hanno scritto sul verbale: «Per terra ci sono diversi oggetti rotti. La donna è in evidente stato di agitazione. L'uomo è seduto sul letto e sorride in un apparente stato di tranquillità». [...]
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