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Giuseppe Scarpa per ''Il Messaggero''
Il ritorno alla normalità per Silvia Romano ha il sapore di una pizza Margherita. «Ecco cosa mi è mancata, la pizza», ha esclamato rivolgendosi all' ambasciatore in Somalia Alberto Vecchi. «Quasi più dei miei genitori». Una battuta. Il diplomatico ha sorriso e poi ha cenato assieme alla ragazza nella sede dell' ambasciata di Mogadiscio dove la cooperante ha passato la notte, prima del rientro di oggi a Roma. L' emergenza legata all' epidemia da Covid-19 non risparmierà comunque Silvia: verrà sottoposta a tampone e a quarantena subito dopo l' arrivo nella Capitale.
La cooperante, 25 anni, ha trascorso gli ultimi 18 mesi in Somalia. Rapita dal gruppo terroristico islamico Al Shabaab. Quasi sicuramente i registi, dal primo momento, del sequestro. Un rapimento concepito con l' obiettivo di incassare il riscatto. Non ci sarebbero state altre finalità. Da subito le forze messe in campo, per portarla dal Kenya alla Somalia, sono apparse ingenti. Sia in termini di uomini che di mezzi. Un piano studiato nei dettagli la cui messa in pratica ha richiesto un investimento importante.
Silvia Romano, con una laurea in tasca per mediatore linguistico, parte in Kenya per la prima volta il 22 luglio 2018. Rimane un mese. Spirito altruistico e la bellezza del posto la spingono a ritornare con un' altra ong.
Non più con l' Orphan' s dreams ma con Africa Milele. Dopo un breve periodo in Italia, il 5 novembre 2018 Silvia atterra a Nairobi, e poi si dirige in un villaggio a sud del Paese.
IL RAPIMENTO
Il 20 novembre del 2018 è il giorno in cui la ragazza è inghiottita dall' oblio. Il blitz lo compiono dei mercenari al soldo di Al Shabaab. Non omogenei al gruppo ma ben pagati per portare il pacco a destinazione.
Sei moto vengono utilizzate per il sequestro. Le prime tre abbandonate sul greto di un fiume poco distante dalla missione in cui prestava servizio. Altre tre parcheggiate sull' altro lato, impiegate per allontanarsi e portarla verso la Somalia.
La Romano dice addio al villaggio poverissimo di Chakama, ad ottanta chilometri da Malindi, nella contea di Kilifi, dove seguiva per conto della ong, un progetto di sostegno all' infanzia per i bambini di un orfanotrofio. Per il commando di cinque uomini, armati di fucili e machete, era stato un gioco da ragazzi prelevarla.
La polizia locale, nelle prime fasi, aveva ipotizzato un rapimento ad opera di criminali comuni a scopo di estorsione, magari anche con la possibilità che la ragazza venisse venduta in Somalia. Tre dei responsabili del blitz erano stati arrestati e dalle indagini era in effetti emerso che la 25enne era stata trasferita oltreconfine. In manette erano finiti Moses Luwali Chembe, Abdulla Gababa Wario Guyo e Ibrahim Adhan Omar. Quest' ultimo, secondo alcune fonti, bracconiere e contrabbandiere di avorio, era stato rilasciato dietro cauzione ed era tornato in libertà il 14 novembre scorso, senza presentarsi al processo che lo vedeva imputato.
Nel frattempo l' intelligence italiana aveva perimetrato il luogo in cui si trovava la ragazza. Erano stati agganciati i telefonini di persone che avevano contribuito al rapimento ed erano sempre rimasti in quella zona. L' area era il sud-ovest della Somalia. Territorio in mano all' organizzazione jihadista Al-Shaabab. Queste informazioni erano trapelate un anno dopo il rapimento, nel novembre scorso, e da quel momento erano passati mesi di silenzio assoluto. Nel frattempo erano uscite alcune notizie di stampa, che non avevano trovato conferma, secondo cui era stata costretta a sposare un uomo con rito islamico.
LA LIBERAZIONE
Ma all' ombra dei riflettori è iniziata la trattativa che ha permesso di chiudere con successo l' operazione. E adesso che la vicenda è terminata positivamente, Silvia potrà fornire ulteriori pezzi del puzzle agli inquirenti. Appena rientrata in Italia, sarà ascoltata dal pm Sergio Colaiocco, che aveva aperto un' inchiesta per rapimento a scopo di terrorismo.
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