DAGOREPORT: PD, PARTITO DISTOPICO – L’INTERVISTA DI FRANCESCHINI SU “REPUBBLICA” SI PUÒ…
1. TRAPPOLA PER I REPORTER, LA STRAGE DI KABUL
Marta Serafini per il ‘Corriere della Sera’
«Ogni mattina mentre vado in ufficio e tutte le sere quando torno a casa, penso solo alle auto che possono essere trappole esplosive, o ai kamikaze che escono dalla folla».
shah marai massoud hossaini e lawrence bartlett vincitori del pulitzer 2012
Scriveva così Shah Marai, in un articolo, bellissimo, del 2016. Ieri Marai, a capo dell' ufficio della France Presse a Kabul, papà di 5 figli, è morto.
Sono le 8 quando Kabul viene svegliata da una prima esplosione, vicino agli edifici dell' intelligence afghana. Un kamikaze a bordo di una motocicletta colpisce. I reporter accorrono sul posto. È l' ottavo attentato dall' inizio dell' anno.
Tra loro, c' è anche Marai, 41 anni. Ha esperienza, ha iniziato a lavorare per l' Afp nel 1998 come autista. Con le sue foto ha raccontato la guerra infinita del suo Paese.
È passata mezz' ora dalla prima detonazione. Un uomo si avvicina al gruppo dei reporter vicini al posto di blocco. Ha in mano una telecamera. Mostra il tesserino stampa.
Si fa saltare vicino al gruppo di giornalisti e fotografi. Moriranno in nove (sei secondo il ministero degli interni), quasi tutti al di sotto dei trent' anni.
E rimane lì agonizzante sulla strada anche chi stava andando a scuola, chi al lavoro. Perdono la vita anche 4 poliziotti.
Alla fine della giornata, il bilancio sarà di almeno 25 vittime e 45 feriti.
shah marai agence france presse
All' ospedale di Emergency, vicino alla Green Zone, si lavora senza sosta. Arrivano 17 pazienti, in 5 sono già morti, 4 sono in condizioni critiche.
«Prima in inverno c' erano meno combattimenti. Quest' anno, invece, anche a gennaio il flusso dei pazienti è stato altissimo», spiega il coordinatore Dejan Panic. E c' è spazio anche per i ricordi, «Marai veniva spesso da noi, era diverso dagli altri, un giornalista empatico, attento. Nel 2014 è stato anche per giorni al fianco di Abuzar, il figlio di Sardar Ahmad, suo collega ucciso in un attentato nel 2014 con la famiglia», racconta al Corriere Emanuele Nannini, vicedirettore dell' ufficio umanitario di Emergency.
Dolore e morte sono fili rossi che attraversano il Paese, mentre sale la tensione in vista delle elezioni di ottobre e le trattative tra i talebani e il governo assumono la sembianza di una pantomima. E se è sempre più evidente come la pace non convenga a nessuno, passata una manciata di ore dall' attacco, puntuale arriva la rivendicazione dell' Isis. Stesso copione della settimana scorsa, quando 70 persone sono state uccise davanti ad un centro di registrazione elettorale.
Ma non è solo Kabul il terreno di scontro. Sempre ieri, nel sud del Paese, a Kandahar, un kamikaze alla guida di un' autobomba si è fatto saltare davanti a una moschea contro un convoglio della Nato. L' esplosione ha distrutto il muro di cinta di una scuola coranica e il prezzo più caro lo hanno pagato undici studenti. Poi la lunga scia di sangue è arrivata nella provincia orientale di Khost, dove un altro giornalista che lavorava per la Bbc, Ahmad Shah, è stato ucciso in un agguato. «Siamo distrutti, aveva solo 29 anni», hanno detto i colleghi da Londra.
È l' Afghanistan, dopo 17 anni di guerra.
2. ELIMINARE I TESTIMONI (DISARMATI) COME SHAH
Lorenzo Cremonesi per il ‘Corriere della Sera’
parenti delle vittime di kabul
Sono semplici da colpire, non girano armati, spesso si trovano nel cuore delle crisi e inevitabilmente la loro morte attira l' attenzione locale e internazionale. Se vuoi farti pubblicità e diffondere le tue minacce cosa c' è di più facile che eliminare un giornalista? È questa primitiva ma efficiente logica brutale che ha guidato gli assassini di dieci reporter afghani ieri. Nove uccisi da un kamikaze nel cuore di Kabul.
Erano accorsi numerosi sul luogo di una prima esplosione che aveva ucciso una quindicina di persone presso il ministero della Difesa, non lontano dagli uffici del contingente Nato, quando un secondo attentatore ha mostrato alla polizia un accredito falso da cameraman per unirsi a loro. Nella seconda deflagrazione hanno perso la vita tra gli altri Shah Marai, noto fotografo della France Presse, oltre a tre reporter di Radio Free Europe, una delle prime ad aprire dopo il collasso del regime talebano nel 2001, e un giornalista di Tolo, la principale televisione indipendente del Paese.
Nel 2016 almeno sette dei suoi migliori reporter erano stati uccisi da un kamikaze che si era lanciato contro il loro minibus. Ieri un altro giornalista, il 29enne Ahmed Shad corrispondente della Bbc, è stato ucciso a colpi di pistola presso la sua abitazione nella provincia di Khost. Isis rivendica gli attentati. In Afghanistan, come del resto in tutte le zone dove operano i suoi militanti, il «Califfato» ha sempre cercato di colpire i giornalisti, specie quelli che lavorano per i media occidentali.
Ma questo attacco alla libera stampa non è altro che la punta dell' iceberg. Circa 250 giornalisti turchi sono in carcere. In Egitto la stretta contro i media voluta dal presidente Abel Fattah al Sisi si è fatta più dura in occasione delle elezioni farsa un mese fa. In Russia a metà aprile il 32enne Maxim Borodin è morto «cadendo» dal balcone della sua abitazione dopo che le sue inchieste sui contractor russi in Siria avevano infastidito Putin.
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