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Elena Dusi per “la Repubblica”
Verso il futuro a testa bassa. Occhi in giù, mani sotto al banco, dita che saltellano fra i tasti del telefono mentre il professore spiega. Diversi paesi, Italia inclusa, cercano di arginare il fenomeno vietando i cellulari a scuola. E anche il candidato presidente francese Emmanuel Macron ieri ha annunciato di voler bandire l'uso dei telefonini fino al collège (a 15 anni). Il divieto è già previsto dal Code de l'éducation. Ma Macron ha scelto di ribadirlo in un mondo che sta andando in realtà in direzione opposta.
New York nel 2015 ha cancellato il veto per la pressione dei genitori, troppo in ansia senza contatti continui con i figli. E la proibizione che vige in Italia dal 2007 è stata in parte superata dal Piano nazionale per la scuola digitale. Il testo del 2015 non ha rango di legge, ma con quel suo definire "troppo drastico" il divieto del 2007, finisce di fatto con l' autorizzarne le deroghe.
Il risultato è che oggi in Italia ogni scuola può scegliere se ammettere o no telefonini e tablet (ovviamente solo per scopi didattici). Secondo i dati del Ministero dell' Istruzione, il 70% dei 33mila edifici scolastici è connesso via cavo o wireless. Rita Marchignoli, maestra e "animatrice digitale" di una scuola primaria a Fidenza, con i suoi alunni di 7 anni usa i tablet per fare lezione.
«Mi trovo bene. Loro partecipano con interesse. Così riesco a coinvolgere anche chi non parla bene la lingua o è disabile». E Ilenia Melli, che insegna matematica alle secondarie di primo grado di Rubiera, in provincia di Reggio Emilia, ha presentato ai suoi ragazzi un quiz cui bisognava rispondere con un' app sul cellulare. «Si sono divertiti. Da allora sono loro a preparare un test ogni settimana».
Ma poi c' è l' altro lato della medaglia. «A scuola? Il cellulare lo uso sempre. Sono stata rimproverata e mi hanno sequestrato il telefono, ma [ridendo] è più forte di me e non posso trattenermi dal rispondere a un messaggio» racconta una ragazza 15enne intervistata nel rapporto "Net Children Go Mobile", coordinato da Giovanna Mascheroni dell' Università Cattolica di Milano. Alla domanda su quanto tempo passi con il telefono in mano, la ragazza risponde: «Sempre».
Una ricerca della London School of Economics nel 2015 ha calcolato che alla maturità, nelle scuole dove il cellulare è vietato, i ragazzi ottengono voti del 6,4% più alti. Ma quando in Italia i professori hanno deciso di adottare l'"approccio drastico" della legge, a finire nei guai sono stati loro. È successo a Forlì nel 2014, quando un insegnante ha sequestrato il cellulare a un ragazzo che guardava foto porno e si è visto arrivare a scuola il giorno dopo la madre insieme a un avvocato. O a gennaio di quest' anno, quando un 18enne di Treviso ha denunciato la scuola per sequestro illegittimo e abuso di potere.
Sul fatto che i divieti non servano sono d' accordo Pier Cesare Rivoltella, che alla Cattolica insegna Tecnologie dell' istruzione e dell' apprendimento, e Giorgio Tamburlini, pediatra e presidente del Centro per la Salute del Bambino di Trieste. Ma mentre il primo sostiene che il cellulare «va fatto usare, affinché venga naturalizzato nelle pratiche scolastiche quotidiane», il pediatra mette in guardia (proprio nel giorno in cui il Centro ha presentato a Trieste, insieme al Garante della Privacy, la ricerca "Uso delle tecnologie digitali nei primi anni di vita"): «Il telefonino sempre in mano rafforza la dipendenza fra figli e genitori. Ed è ormai evidente che ostacola lettura profonda e uso critico delle nozioni».
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