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Silvia Truzzi per "Il Fatto Quotidiano"
Il valzer degli addii si balla alla Scala. Esattamente un anno fa l'annuncio del Sovrintendente Stéphane Lissner, arruolato dal'Opéra di Parigi a partire dal 2015 e che sarà sostituito da Alexander Pereira (già legato al teatro con un contratto di consulenza, pare di 100mila euro). Ieri la notizia che il direttore musicale Daniel Barenboim ha deciso di risolvere il contratto con due anni di anticipo. Dal primo gennaio 2015 lascia il posto a un successore che quasi certamente sarà il milanese Riccardo Chailly.
E mentre fervono i preparativi per la Prima del 7 dicembre (La Traviata diretta da Daniele Gatti, un altro maestro papabile per la direzione musicale), rumoreggiano i malumori. In primis dei consiglieri del cda, che hanno appreso dai giornalisti la notizia dell'addio di Barenboim: ma non è una novità , dato che anche un anno fa era successa la stessa cosa con l'annuncio di Lissner all'Opéra. Pure i sindacati sono sul piede di guerra e chiedono trasparenza sui compensi.
Dunque finisce un'era ed è abbastanza comprensibile che la traversata di questo guado, tra mille incognite, sia complicata e un po' burrascosa. Ci mette del suo anche il Sovrintendente in carica che ha rilasciato un'intervista all'edizione milanese di Repubblica , in cui chiarisce, con il consueto piglio, un paio di cosette.
Prima: comanda lui, finché c'è lui ("Resto fino al 31 agosto 2014, e fino ad allora sarò l'unico responsabile. Ciò non toglie che, per la stagione 2015-16, potrà essere coinvolto anche Pereira"). Il secondo punto è una piccola ma non trascurabile ammissione: "Con la crisi, abbiamo registrato anche una lieve flessione della biglietteria.
Del resto, chi può permettersi di pagare un biglietto 240 euro? Nei mesi scorsi c'era chi suggeriva di alzare il prezzo a 300 euro. Scherziamo? Siamo arrivati al limite. Anzi, se la situazione economica non migliorerà , bisognerà pensare di ridurli". Dunque troppe poltrone vuote: bisognerà correre ai ripari. Anche perché il bilancio dell'anno è lontano dall'idea di esser chiuso positivamente (all'appello, si sussurra, manca più di un milione di euro).
Non aiuterà il cosiddetto decreto Valore cultura, per stessa ammissione di Lissner, che fa un ragionamento sulle conseguenze della riduzione del numero dei membri dei cda da 11 a 7: "Lo Stato continua a ridurre il Fondo unico per lo spettacolo (quest'anno 18 milioni in meno), e questo rende sempre di più necessario l'apporto dei privati. Ma se non saranno rappresentati del cda, chi dice che continueranno a sostenere la Scala?".
Gli sponsor sono sempre più importanti, considerando che la stretta della spending rewiev statale non accenna a diminuire, nonostante gli sforzi del ministro Bray (pure lui però si becca una frecciatina dal francese perché non è mai venuto a vedere la Scala). Con un colosso come Eni che potrebbe rivedere il suo legame con il Teatro, all'orizzonte si profilano giorni difficili.
"Per ora il contributo dei privati è stabile (oggi ci danno 43 milioni di euro, contro i 30 dello Stato), ma siamo costretti a ingaggiare una battaglia quotidiana per mantenerli. Se l'Eni se ne andrà , vorrà dire che la Scala avrà 3 milioni di euro in meno: non è una cifra da poco. Senza contare che l'azienda sostiene la serata della Prima", spiega Lissner. Ma saranno problemi suoi ancora per poco tempo.
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