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1 - ANKARA E L' ASSALTO AI CURDI IN TRE FASI RISCHIO SCONTRO CON ASSAD SULL' EUFRATE
Giordano Stabile per “la Stampa”
Le basi al confine che gli americani hanno abbandonato in tutta fretta all' alba di lunedì sono rimaste vuote. L' esercito turco «ha terminato i suoi preparativi», ha dichiarato il ministro della Difesa Hulusi Akar, ma i soldati sono per ora fermi al di là della frontiera. Con lo spazio aereo sigillato dall' aviazione statunitense, Ankara ha usato l' artiglieria per colpire le postazioni curde.
erdogan annette la siria del nord
Dopo il raid di lunedì notte vicino a Semalka, ieri è stata colpita una base nell' area di Tall Abyad. È il preludio dell' operazione Fontana di Pace. Recep Tayyip Erdogan non ha fretta. Come già ad Al-Bab, ad Afrin, l' invasione procederà per fasi, a meno che da Washington non arrivi uno stop senza ambiguità. Ieri il Pentagono ha specificato che il ritiro riguarda soltanto «50-100 soldati». Ma per i curdi, così come per la Turchia e il governo siriano, resta difficile interpretare le intenzioni di Donald Trump. Questo spiega la prudenza.
combattenti curde 2truppe americane in siria
L' esercito turco prima occuperà un fascia profonda cinque chilometri nella parte centrale della zona cuscinetto. Poi attaccherà la frontiera con il Kurdistan iracheno, essenziale per bloccare i rifornimenti ai curdi, che passano su un ponte provvisorio attraverso il Tigri a Semalka. L' ultima fase riguarderà l' area di Kobane, a più alta concentrazione di popolazione curda. L' obiettivo è arrivare fino all' autostrada M4, che corre parallela al confine a 30-40 chilometri di profondità. Quella è però anche la linea rossa di Assad.
trump erdogancombattenti curde in siria 2
L' esercito siriano ha inviato contingenti lungo la riva dell' Eufrate, pronti ad attraversare il fiume. I russi hanno costruito un ponte di barche a monte della città di Deir ez-Zour. Damasco ha anche mantenuto una presenza nel Nord-Est. A Qamishlo c' è un contingente governativo: potrebbe trasformarsi in un avamposto in grado di ostacolare le manovre turche. Le trattative con i curdi sono in corso, condotte dal comandante delle Forze democratiche siriane Mazlum Abdi, che «sta considerando» un accordo con Bashar al-Assad. Non sarebbe un novità. I curdi delle milizie Ypg hanno collaborato fra il 2012 e il 2016 con il regime, contro ribelli jihadisti ad Aleppo.
I curdi sono così di nuovo la chiave del duello fra Assad ed Erdogan, ossessionati da due opposte sindromi. Per il raiss siriano è «la sindrome di Alessandretta», la città sulla costa del Mediterraneo che i francesi, durante il mandato della Società delle Nazioni, prima trasformarono in uno Stato indipendente e poi cedettero alla Turchia nel 1939. Assad teme che, alla lunga, anche il Nord della Siria faccia la stessa fine. Per il leader turco invece si tratta della «sindrome di Sèvres», il Trattato che nel 1920 aveva ritagliato un esteso Stato curdo, in gran parte su territori oggi di Ankara.
Con il Kurdistan iracheno semi-indipendente e protetto dagli Usa, il Rojava che potrebbe seguire la stessa strada, Erdogan ha come priorità strategica stroncare ogni velleità di indipendenza curda. In questo senso va anche il piano di reinsediare milioni di profughi siriani arabo-sunniti al confine fra Turchia e Siria, per mettere i curdi in minoranza.
2 - DUEMILA JIHADISTI DETENUTI SPAVENTANO L'EUROPA L'ULTIMA SFIDA AL CONFINE
Marco Ventura per “il Messaggero”
Sono oltre 2mila i foreign fighters, molti europei, nei campi di prigionia curdi in Siria, e 12mila i jihadisti del Califfato siriani e iracheni. Con le loro famiglie la popolazione del solo campo di Al Hol raggiunge la cifra di 70mila. Senza contare che stando ai reportage dei pochi inviati che in quel campo sono entrati per raccontarne le condizioni di vita disumane, oggi il controllo e il reclutamento a favore di un Isis mai totalmente annientato è gestito da donne musulmane radicali. Tunisine, somale, e russe.
L'EMERGENZA
Adesso che i curdi, senza più la protezione americana, si preparano a contrastare l'avanzata turca volta a creare una fascia di sicurezza alla frontiera, e a trasferire centinaia di migliaia di profughi fra gli oltre due milioni che vivono in Turchia, la presenza di quei foreign fighters e delle loro famiglie diventa una bomba a orologeria.
C'è il rischio di un finora improbabile risorgere dell'Isis, e si profila l'incubo legale di fighters che dovrebbero forse essere estradati e perseguiti in Occidente, ma per crimini che sarà praticamente impossibile dimostrare, commessi all'estero. Un'emergenza, alla quale né Onu né tanto meno l'Europa, sono riusciti a porre rimedio.
convoglio misto curdo americano raqqaERDOGAN TRUMP
I curdi, da parte loro, traditi dagli Stati Uniti e abbandonati dagli europei, potrebbero non prendersi più cura dei detenuti jihadisti, che oltretutto costano. E, anzi, potrebbero portarli alla frontiera e liberarli. Un'ipotesi non peregrina, se è vero che un alto ufficiale curdo nella Siria nord-orientale ha già ricordato al Guardian che dopo aver catturato e internato oltre 2mila combattenti stranieri dell'Isis e migliaia di altri terroristi iracheni e siriani, ora queste prigioni «non saranno più sicure, dovendo noi combattere l'esercito turco.
Il che non significa puntualizza che stiamo minacciando di liberare i criminali, ma che non è realistico chiederci di combattere su due fronti: i turchi e l'Isis». Anche Erdogan avverte che non sarà la Turchia a prendersi carico dei foreign fighters francesi, tedeschi e di altri Paesi europei. «Che cosa abbiamo a che farci noi?»
CONDIZIONI
In quei campi di detenzione, peraltro, le condizioni di vita sono al di sotto della soglia accettabile dei diritti umani. Per l'HRW (Human Rights Watch), è urgente che i Paesi di provenienza mettano fine a questa attesa e prendano misure contro il sovraffollamento facendo tornare a casa «i loro cittadini imprigionati per la riabilitazione, reintegrazione e procedimenti giudiziari adeguati, in linea con gli standard internazionali».
L'Isis, per inciso, non faceva prigionieri. La SDF, la forza di difesa curda della Siria nord-orientale, fa sapere che i centri di detenzione sono sette. Gli unici che hanno seriamente attivato procedure per il rimpatrio sembrano essere Kosovo, Kazakhstan, Russia, Bosnia, Tunisia e Macedonia. Gli occidentali, invece, non hanno strumenti legali per farlo. E la Gran Bretagna deve sostenere cause internazionali anche solo per avere tolto la cittadinanza a un paio di questi combattenti o ai loro familiari. «In Italia c'è una legge che punisce il reclutamento di foreign fighters, paradossalmente non ce n'è una che punisca chi combatte per l'Isis in Siria», è la sintesi surreale di Alfredo Mantici, professore di sicurezza e geopolitica all'Università degli studi internazionali di Roma.
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