don matteo prodi

DON MORTADELLA SE NE VA - “BASTA, SONO FERITO PER LE CRITICHE”: A BOLOGNA MATTEO PRODI LASCIA LA SUA PARROCCHIA DOPO LE DIFFICOLTÀ INCONTRATE SULL'ACCOGLIENZA PROFUGHI - AI GIORNALISTI “SIETE QUI SOLO PERCHÉ SONO IL NIPOTE DI ROMANO ALTRIMENTI LA MIA STORIA SAREBBE PASSATA INOSSERVATA”

Alessandro Fulloni per il Corriere della Sera

 

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«Grazie di tutto». Sotto la scritta tracciata con lo spray su un lenzuolo appeso tra due colonne, compare anche la firma: «I ragazzi del biliardino». Il calcio-balilla è piazzato proprio lì, davanti all' ingresso della canonica, non lontano dal campo di calcio dell'oratorio di Santa Maria di Ponte Ronca, frazione di Zola Predosa, a due passi da Bologna. Pomeriggio di una bella giornata soleggiata. Don Matteo Prodi, 50 anni, il parroco che poche ore prima ha annunciato, con un lungo post su Facebook, di essersi dimesso, dopo 12 anni, dalla guida della comunità «perché non a tutti è piaciuta la mia vita», rincasa in bicicletta.

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Pantaloni da lavoro, felpa sportiva, la barba imbiancata che s' accompagna all' aria assai giovanile. Sulle prime il reverendo - con un curriculum sterminato: due lauree, una in Economia e commercio presa nel 1990 e l' altra più recente, nel 2010, in sacra teologia - non ha troppo voglia di parlare con i giornalisti che lo attendono davanti casa.

 

«Se siete qui è solo perché sono il nipote di Romano Prodi, altrimenti la mia storia sarebbe passata inosservata» racconta don Matteo, nipote dell' ex premier ulivista e figlio di Vittorio, ex presidente della Provincia di Bologna e due volte europarlamentare, prima con la Margherita e poi con il Pd Domenica il prete ha spiazzato i fedeli di Ponte Ronca (borgo di circa tre mila abitanti tra la Bassa e le prime colline dell' Appennino) con quel lungo annuncio a sorpresa: «Che potessi fare meglio, è fuori discussione» ha ammesso.

 

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Aggiungendo anche, piuttosto criptico: «Non a tutti è piaciuta o piace la mia vita; a nessuno, però, era lecito portare in pubbliche piazze valutazioni negative sulla mia persona, che hanno fatto male a me ma soprattutto alla comunità». Inevitabile la domanda: don Matteo, ma a cosa si riferiva Dopo qualche istante di riflessione la risposta, mentre poggia la mano sullo stipite, è più accalorata che diplomatica: «Ho ringraziato tutti quelli che mi hanno voluto bene. Ma con altri, una piccola minoranza, ho avuto qualche problema. Che chiarirò parlando con loro personalmente». C' entrano magari i migranti in passato ospitati in canonica?

 

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Matteo scrolla la testa: «Siamo a Bologna... davvero pensate che qui possa esistere un problema di questo genere?». A chiedere ai passanti tra bar centrale e stazione si direbbe di no. Per il prete si moltiplicano i superlativi assoluti: «Don Matteo? È un uomo eccezionale: pratico poco la parrocchia, ho cominciato ad andarci per i suoi sermoni. I migranti? Chi altro deve pensarci se non la chiesa?» si chiede un signore sulla settantina. Maria Pia, tabaccaia sulla via principale, abbassa gli occhi intristita: «Mi si accappona la pelle a pensare che non sara più con noi».

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Figurarsi Michela, la figlia di Maria Pia: «Gli ho appena mandato un sms per chiedergli di ripensarci». Una coppia di pensionati seduti su una panchina del giardino comunale racconta dell' aiuto dato a una famiglia di rifugiati: «Hanno vissuto per qualche tempo in chiesa. Ora il papà ha trovato lavoro come operaio, i bimbi vanno a scuola: Matteo non ha pensato solo ad accoglierli, ma anche a integrarli». Adesso cosa farà il prete? Prima di richiudere la porta l' ex parroco di Santa Maria chiarisce: «Ogni mia decisione è in sintonia con il vescovo». E poi: «Continuerò a occuparmi di migranti».