DAGOREPORT - ED ORA, CHE È STATO “ASSOLTO PERCHÉ IL FATTO NON SUSSISTE”, CHE SUCCEDE? SALVINI…
Francesco De Remigis per “il Giornale”
Che in Francia non si respirasse un bel clima nelle università, e in generale nelle scuole, era chiaro sin da quando, dopo la decapitazione del professor Samuel Paty, si innescò una sorta di gara dei distinguo durante le commemorazioni. Perché parlare di Islam è sempre più complicato in aula? Perché colpevolizzare i bianchi, tanto gli studenti quanto i prof, da parte di certi gruppuscoli organizzati sull'onda del Black Lives Matter, è così di moda?
A queste e a domande simili hanno provato a rispondere alla Sorbona di Parigi. La reazione del tempio francese, al culto della cancel culture nelle università, è stata una due giorni promossa dall'Observatoire du décolonialisme e dal Collège de philosophie. Filosofi, storici, politologi e sociologi contro il politicamente corretto.
L'obiettivo? Combattere le derive del pensiero «decolonialista» che si infiltra nel mondo dell'educazione e della ricerca, e che cerca di imporsi «come dogma morale contro lo spirito critico». L'hanno chiamata «ripartenza». Il simposio patrocinato dal ministero dell'Istruzione (che l'ha finanziato) ha inevitabilmente scatenato una bufera Oltralpe: alla gauche non è piaciuto il percorso di «ricostruzione» lanciato nella più antica università dell'Esagono.
Né che il governo abbia avallato un convegno imbevuto di stilemi contrari alla neo lingua «woke», che prevede censure preventive o postulate. Marine Le Pen ed Éric Zemmour denunciano il «wokismo» come «male anglosassone» che ha scavalcato la Manica. Il ministro dell'Istruzione Blanquer, che ha aperto il simposio, si è convinto che «la cancel culture cerchi di minare la civiltà umanistica».
Alla Sorbona, in presenza e online (1.300 iscritti), sono fioccate formule come «epidemia transgender», «sole nero delle minoranze»: un florilegio di casi che l'ideologia «woke» stia martirizzando l'università. Un senso di marginalizzazione viene denunciato da studenti «no-woke» bullizzati da forme di «terrorismo intellettuale». Ci sono associazioni che attivano la gogna pubblica contro prof, artisti e giornalisti: la polemica diventa di moda e fa comodo accodarsi ai forcaioli.
Ecco il perché della difesa del «pluralismo illuminato» rivendicato alla Sorbona; per difendere il libero pensiero, sottoposto a forme di censura con minacce ai prof che non si adeguano ed elenchi dei loro nomi affissi sui muri di Parigi. Di «enclave intellettuale che vuol dettare legge su tutto» ha scritto pure un gruppo di studenti sul Figaro. «Chiunque si rifiuti di sottomettersi ai dogmi decolonialisti, filo-Lgbt e anti-sessisti viene insultato».
Classici da sbianchettare, film e cartoon da rivisitare (Disney non è la sola ad aver «rivisto» i classici per sfuggire agli iconoclasti). Poi le opere d'arte, le statue di leader storici: le cui imprese decontestualizzate appaiono risibili e dunque da abbattere o sfregiare. Il tema è conteso anche da Macron. E non a caso Zemmour ieri in Vandea ha difeso la statua di San Michele, «simbolo delle tradizioni cristiane oggetto dell'idiota punizione di laici obsoleti».
Le autorità locali hanno ordinato di rimuoverla dopo un braccio di ferro portato e al tar da un'associazione. Basta, mordersi la lingua per assecondarli, è il messaggio in Francia a tre mesi dal voto. Dove però gli 007 del politically correct sono numerosi anche nelle case editrici e i docenti che non ci stanno, bollati come «unfit». Negli Usa, in prima battuta nel mirino del «woke» c'erano i vip rei d'aver pronunciato frasi giudicate offensive. Emarginati. Poi è toccato agli intellettuali, ai prof e infine alle aziende.
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