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Stefano Montefiori per il “Corriere della Sera”
«Mi dicono, da qualche giorno: "Sei bionico!", "sei come Iron Man!". Un tempo mi avrebbe dato fastidio, ora quasi mi diverte. Ho capito che se vado a 300 all'ora e vivo al massimo le mie passioni forse dipende anche da questa cosa che ho nel petto, e che ho tenuto nascosta per 17 anni».
Gianluca Gazzoli è la popolare voce di Radio Deejay, il volto di tanti video su YouTube e Instagram in cui parla di basket, viaggi, musica e mille altre cose. Da quando ha 15 anni Gianluca vive con un defibrillatore impiantato nel petto: è la versione miniaturizzata degli apparecchi disponibili nei luoghi pubblici per salvare da aritmie gravi o arresto cardiaco.
Scosse è il titolo del libro che Gianluca Gazzoli ha scritto per raccontare finalmente tutta la storia. Le scosse sono quelle che partono - «come un'esplosione nel petto» - quando Gianluca vive troppo, quando un'emozione o uno sforzo fisico troppo intensi fanno battere il cuore così velocemente da fargli sfiorare la morte.
Il defibrillatore allora emette scariche elettriche capaci di riportarlo al ritmo giusto. Vivere in bilico non è semplice, ma è vivere tanto, come si capisce leggendo il libro che uscirà domani per Mondadori.
Perché a lungo ha preferito tenere le aritmie e il defibrillatore nascosti?
«Da ragazzino avevo paura che gli amici del basket potessero dirmi "Dai Gianluca, ora riposati". Poi, quando ho preso una strada artistica, pubblica, temevo anche le critiche, "ecco, questo qui cerca compassione". Sullo sfondo, c'era pure una forma di rifiuto per la malattia».
E adesso invece?
«È un momento buono, faccio tante cose belle e poi sono diventato papà, forse mi sento più responsabile. Anche verso le persone che mi seguono sui social, alle quali racconto sempre i miei progetti.
Capita che qualcuno mi dica che la mia voglia di vivere è un'ispirazione per lui, e questo mi dà una grande gioia, ma ho cominciato a pensare "chissà come reagirebbe se sapesse". L'autenticità è tutto, è ora di condividere anche questo».
Com' è vivere sapendo che una scossa può partire da un momento all'altro?
«Chi soffre di aritmie spesso si sente bene, in forma, tranne nel momento della crisi. Ti illudi di essere sano, ma non lo sei. Sai che nel tuo corpo c'è qualcosa che può esploderti dentro se superi il limite consentito a livello fisico, o nel mio caso anche emotivo».
Riesce a controllarsi?
«A 15 anni non lo accettavo, dicevo a me stesso che potevo fare quel che volevo. Puntualmente quando esageravo perdevo la sfida: battiti a mille, la testa che gira, e la scossa che ti sbatte a terra. Ho fatto pazzie: snowboard, kickboxing, i miei genitori venivano a riprendermi per le orecchie. Fino al giorno del bungee jumping. Lì ho capito che era davvero troppo, mi sono fermato un istante prima».
E oggi, a 32 anni?
«Ci convivo meglio. Ho sempre avuto il terrore di avere una crisi davanti a tutti, durante una diretta in radio o mentre sono sul palco. Poi quando viaggio, in aeroporto, non posso passare sotto il metal detector e quindi mi perquisiscono sempre, ho sempre trovato scuse con chi sta con me. Finalmente non avrò più paura di essere scoperto».
gianluca gazzoli ph. carmine conte
Nel libro spiega che l'emotività è la sua condanna e la sua forza.
«Ho capito che non si possono separare le cose, se io sono così è anche per via della malattia e del defibrillatore. Lo stesso fervore che può portarmi alle scosse mi fa amare la vita. Ho trovato il modo di volgerlo in positivo».
Pensa che la sua storia possa aiutare altri?
«Lo spero. All'inizio credi di essere l'unico al mondo, ma non è così. Le malattie cardiache che provocano aritmie sono diverse, le scosse ci accomunano tutti. Se dopo aver letto il mio libro anche una sola persona capirà che ci si può convivere e farà una cosa bella in più, sarò contento.
Meglio ancora se si risparmierà le stupidaggini che facevo io, tipo nascondere la malattia ai medici per continuare a fare sport. Ecco, mi sento male quando ancora sento del ragazzino che muore giocando a calcio nel campetto, o del dramma di Davide Astori, il capitano della Fiorentina che non sapeva di essere malato. Spero anche che il mio libro faccia conoscere meglio questi pericoli».
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