maniaco ascensore

1. “HO VOGLIA”, “STAI ZITTA, TI SGOZZO”, “METTITI IN GINOCCHIO”, “E’ INUTILE CHE PIANGI, TOCCAMI SOTTO, BAGASCIA” – I RACCONTI CHOC DELLE BAMBINE VIOLENTATE DAL PEDOFILO GENOVESE EDGAR BIANCHI CHE UNA VOLTA SCARCERATO HA STUPRATO DI NUOVO 2. UNA SEQUENZA TERRIFICANTE DI BIMBE SPINTE NEGLI ASCENSORI, PUGNI IN TESTA, COLTELLI ALLA GOLA E OSCENITA’-QUELLE TRACCE DI SANGUE SULLA GONNA DI UNA RAGAZZA DECISIVE PER INCASTRARLO - 3. NONOSTANTE QUESTI VERBALI, LA GIUSTIZIA ITALIANA L’AVEVA RIMESSO IN LIBERTA’… 

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EDGAR BIANCHI

Carlo Piano per La Verità

 

Credevo di esserne uscito, invece ci sono ricaduto», ha detto ai poliziotti dopo aver confessato di avere violentato una ragazzina di 13 anni in via Rubens, a Milano.

Ma l' unico posto da cui purtroppo è uscito Edgar Bianchi, barman genovese meglio noto come «il maniaco dell' ascensore», è il carcere

 

E non è uscito dopo i 14 anni e 8 mesi a cui lo aveva condannato il tribunale di Genova per violenze su minori. Stiamo parlando di 25 vittime, giovanissime vittime.

 

IDENDIKIT DI EDGAR BIANCHI

Una sequenza terrificante di bambine spinte negli ascensori, sequestrate, trascinate per i capelli, costrette a mettersi in ginocchio con due lame puntate alla gola, malmenate a calci e pugni e minacciate di morte. Come racconta la storia di Daniela, allora 11 anni, che lo implorava piangendo mentre lui le diceva «è inutile che lo fai, adesso toccami sotto». Seguiva l' epiteto «bagascia», che lasciamo al lettore tradurre dal dialetto genovese.

 

Ma per Edgar le porte del penitenziario si sono aperte dopo soli 8 anni, con uno sconto di quasi metà della pena. Infatti prima la Corte d' appello ha ridotto la condanna a 12 anni e poi, trattandosi di «detenuto modello» e quindi da premiare, la generosità della giustizia italiana ha fatto il resto.

Anzi per Giovanna Novaresi, l' avvocato che lo ha assistito durante gli anni da galeotto, Bianchi era «uno degli esempi più brillanti di riabilitazione».

 

Come i fatti hanno indiscutibilmente dimostrato. Addirittura quando era detenuto, aprì un conto per risarcire le malcapitate ragazzine da lui stuprate, dove versava ogni mese parte dello stipendio che guadagnava con i lavori nella casa di reclusione. Un benefattore.

 

Come non rimetterlo al più presto in libertà?

EDGAR BIANCHI

Ma per capire meglio chi è questo quarantenne, alto 1 metro e 80 e dal fisico atletico (e per chiedersi ancora una volta come mai lo abbiano rilasciato anzitempo) bisogna leggere le motivazioni della sentenza di primo grado del 2007. Parlano di quello che ha combinato a Genova dal marzo 2004 al settembre del 2006, mese in cui la polizia finalmente lo arrestò.

 

La tecnica era sempre la stessa ed era diventata il suo marchio, la stessa applicata pochi giorni fa a Milano: individuava una ragazzina tra gli 11 e i 17 anni, la seguiva, entrava con lei nel portone e, una volta chiusi in ascensore, la picchiava, palpeggiava e costringeva a un rapporto sessuale.

 

Come sottolineava il giudice Adriana Petri: «Non erano molestie ma fatti di estrema gravità, commessi a danno di bambine e adolescenti». Quelli che seguono sono alcuni racconti delle aggressioni di Edgar Bianchi, per il quale ieri il gip di Milano ha convalidato la custodia cautelare, come riportate nelle 55 pagine del verdetto. Riteniamo siano più illuminanti di tutte le possibili analisi di criminologia.

In ginocchio, Giulia

Giulia è iscritta alla terza media, non ha ancora festeggiato il suo 14° compleanno.

Siamo nel quartiere di Borgoratti, sabato 18 settembre 2005 è una giornata ancora estiva, e la ragazzina deve percorrere 300 metri che separano la scuola da casa sua, dove la famiglia l' aspetta per pranzo.

 

EDGAR BIANCHI

Ecco cosa succede: «Uno sconosciuto, aperte le porte dell' ascensore mentre la tredicenne era ancora nell' atrio, estraeva dalla tasca destra dei pantaloni due coltelli, con lama in acciaio ed evidente seghettatura e, impugnandoli con entrambe le mani, li portava ai lati del collo della bambina e le ordinava di entrare; quindi pigiava il tasto del piano 5. Partito l' ascensore si slacciava la cintura dei pantaloni e contestualmente premeva lo stop. La cabina tuttavia si rimetteva in moto e scendeva di uno o due piani. Appena si aprivano le porte, l' aggressore faceva posizionare la bimba, terrorizzata, nello spazio immediatamente fuori e le imponeva un rapporto orale (pronunciando frasi oscene).

 

La vittima si inginocchiava e rimaneva immobile, in preda al panico, mentre l' uomo proseguiva per alcuni secondi».

 

Giulia racconterà agli inquirenti che le sono sembrati «un' eternità». Ma Edgar Bianchi non è ancora soddisfatto: «La piccola sentiva che dietro di lei si richiudevano le porte dell' ascensore e a quel punto l' aggressore si fermava, riponeva i coltelli in tasca e scappava. La ragazzina, spaventatissima, risaliva le scale verso la porta di casa, sputando a terra per il senso di schifo provato. Arrivata nel suo appartamento, in lacrime, raccontava tutto alla madre e poi correva in bagno gridando. Il padre della minore arrivava alla sua abitazione e notava la figlia in lacrime. Appreso l' accaduto, si precipitava giù per le scale ma non trovava alcun giovane».

EDGAR BIANCHI

 

Ti sgozzo, francesca

Francesca ha appena compiuto 14 anni quando, durante la notte del primo ottobre 2005 in via Scarpanto, vive il peggior incubo della sua vita. Scrivono i giudici: «Il giovane si infilava nell' ascensore e prima dell' arrivo al piano azionava il pulsante dello stop. Quindi aggrediva la minorenne puntandole un coltello alla gola, intimandole di non urlare. A quel punto, con una mano a tapparle la bocca, insinuava l' altra sotto la gonna e, tentando di strapparle gli slip, iniziava a toccarla nelle parti intime».

 

A questo punto alla ragazza mancano le forze, è sul punto di arrendersi al carnefice. Sta per soccombere: «La minore, ormai in debito di ossigeno, riusciva ad allontanare dalla gola il coltello. L' aggressore afferrava allora per i capelli la vittima e la tirava verso il basso: lei, nel cadere, si aggrappava ai capelli del giovane provocandone la caduta a terra».

 

Francesca si ribella disperatamente e alla fine riesce a costringere Edgar Bianchi alla fuga: «L' adolescente, dopo aver colpito con un calcio alla tibia l' uomo, riusciva a spingerlo fuori dall' ascensore ma non a farlo ripartire. E lui a quel punto la trascinava nell' androne del corridoio pronunciando la frase "ho voglia".

 

La quattordicenne riusciva a liberarsi nuovamente della presa e a rientrare nell' ascensore, supplicandolo di lasciarla andare; il ragazzo, dapprima, infilava un piede fra le porte bloccando la chiusura; infine, alla nuova supplica della bambina, si dileguava».

 

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stai zitta, lucia È il 26 gennaio 2006, sono le 14 in via San Martino. Lucia, 17 anni, è appena uscita da scuola ma nevica forte, anzi sono giorni che nevica a Genova. Le strade sono bloccate e non può prendere l' autobus, quindi percorre un pezzo di strada in compagnia di un' amica e poi si separano. «Giungendo nei pressi di casa la ragazza notava per un momento un giovanotto sui 25-30 anni, mai visto prima. La sua attenzione si concentrava tuttavia sulla propria madre, che l' attendeva affacciata alla finestra e le faceva trovare il portone aperto. All' arrivo dell' ascensore il giovane saliva e, arrivati al terzo piano, tentava di baciarla, quindi aveva inizio l' aggressione. Lo sconosciuto tappava la bocca della diciassettenne con una mano, si tirava giù i pantaloni e con la forza la costringeva a un rapporto orale». Edgar Bianchi, si legge ancora negli atti, ordinava «"silenzio, silenzio, adesso fai quello che dico io".

 

Poiché la ragazza smetteva subito l' uomo le intimava di continuare. In seguito l' aggressore riusciva a toccare le parti intime e concludeva il precedente rapporto sessuale».

 

Niente lacrime, Alessia

Anche Alessia ha 13 anni, siamo in via Jessie Mario, nel popoloso quartiere di San Fruttuoso: «Attorno alle 15.15, mentre attendeva l' ascensore, si materializzava un giovane mai visto prima, che si poneva in attesa ed entrava con lei. Ad un tratto lo bloccava e la ragazzina, intuito il pericolo, iniziava a urlare. L' uomo le tappava subito la bocca con una mano e le intimava di non parlare, ripetendole che aveva in tasca un coltello.

 

Quindi le ingiungeva di slacciarsi i pantaloni e, al diniego dell' adolescente, iniziava a palpeggiarla tra le gambe approfittando del fatto che si era abbassata per divincolarsi dalla presa. La studentessa, continuando a singhiozzare, si rannicchiava su sé stessa supplicando di lasciarla stare; Bianchi le ripeteva di non piangere». Alessia, a differenza di altre vittime, è rimasta paralizzata dallo choc, si è messa «in posizione fetale» nell' angolo dell' ascensore, aspettando che il maniaco terminasse la violenza e sperando che non la uccidesse.

stupro

 

Ti spacco la testa, Chiara

Nel pomeriggio del 20 giugno 2005 Chiara, 17 anni, sta facendo ritorno alla sua casa di via Amarena, ancora San Fruttuoso. Si trova a bordo dell' autobus che prende tutti i giorni, sono le 17,30: «Avvertiva di essere fissata da un uomo che la seguiva fin dentro il portone.

 

Lo sconosciuto riusciva a entrare nell' ascensore e, dopo aver chiuso le porte, premeva il tasto alt, gettando la ragazza a terra, minacciandola, ordinandole di tacere e cercando di toccarle il seno. Poiché la minorenne urlava con tutte le sue forze l' uomo la colpiva con pugni alla testa». Ma Chiara non si arrende e continua a gridare per attirare l' attenzione dei condomini. Bianchi bestemmia e le ordina di non farlo, poi al piano terra lo stupratore seriale riesce a fuggire prima che arrivi qualcuno. Lei però lo ha graffiato cercando di divincolarsi, e le tracce di sangue sulla gonna della ragazza saranno decisive per incastrare il maniaco.

 

Così come è stato fondamentale l' identikit fornito da Silvia, 11 anni, aggredita in via Varese nel pomeriggio del 19 febbraio 2005. Anche lei è riuscita a respingere Edgar Bianchi, come si legge negli atti: «Dopo aver citofonato a un' amica, un uomo si introduceva nel portone con lei, la seguiva sino al secondo piano del palazzo e la aggrediva, afferrandola per le spalle e tappandole la bocca, mentre teneva qualcosa di luccicante nell' altra mano. Nonostante la paura, la bambina provava a divincolarsi e tirava un calcio all' indietro, che colpiva l' uomo; riusciva così a liberarsi dalla stretta sul volto e cominciava a urlare».

EDGAR BIANCHI