DAGOREPORT - PER RISOLVERE LA FACCENDA ALMASRI ERA SUFFICIENTE METTERE SUBITO IL SEGRETO DI STATO E…
Andrea Pasqualetto per corriere.it
Il sergente lo detestava e faceva poco per mascherarlo: «Sto marocchino di m...», «pezzo di m... sto meschino», «non è degno di stare nell’esercito italiano». E avanti così con sfumature varie. Parlava del maggiore Karim Akalay Bensellam, suo superiore, primo e unico ufficiale italiano degli alpini di origini maghrebine.
Le frasi
Per queste frasi, pronunciate secondo l’accusa alla presenza di altri militari in varie occasioni, il sergente Carmelo Lo Manto è stato condannato ieri dal Tribunale militare di Verona a un anno e sei mesi. Si è chiuso così il processo che ha visto il sergente imputato di un reato che mai contestato prima in Italia dai giudici con le stellette: razzismo. Più precisamente: «Diffamazione militare continuata pluriaggravata dalla discriminazione etnica». Condanna pesante, soprattutto se si considera che il pm aveva chiesto una pena decisamente più bassa, quattro mesi.
L’avvocato: «Sono incredulo»
I giudici sono dunque andati oltre, sorprendendo lo stesso legale di Bensellam, Massimiliano Strampelli: «Sono incredulo di fronte all’inusuale durezza della condanna. Si tratta di una pena altissima per un tribunale militare». Stupore naturalmente anche da parte della difesa del sergente: «La definirei incredibile, con 14 testimoni a favore che smentivano il maggiore e che non sono mai stati sentiti a processo. Chiaramente faremo appello».
I testimoni
Va detto che diversi altri testimoni, commilitoni, hanno deposto contro il sergente. È il caso dell’alpina Elena Andreola: «Durante l’azabandiera era consuetudine sentire il sergente insultarlo». E quello della sua collega di caserma Sara Barcaro: «Il sergente non si curava del fatto che molti ascoltavano». Nell’ultima udienza, quella di ieri, è stato sentito il caporal maggiore Luca Servili, testimone arrivato in piena zona cesarini e asso insperato dell’accusa. Servili ha parlato di omertà e di aver sentito parlar male del maggiore decine di volte. «Diceva che gliel’avrebbe fatta pagare».
Quelle zuffe
Fra i due non correva buon sangue. Anche Bensellam era finito sotto processo con l’accusa di aver aggredito il sergente. Il procedimento si era chiuso con un proscioglimento per «particolare tenuità del fatto».
La condanna di oggi è per il maggiore una battaglia vinta. Ma la guerra, ha deciso il sergente, non è finita.
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