DAGOREPORT - BLACKSTONE, KKR, BLACKROCK E ALTRI FONDI D’INVESTIMENTO TEMONO CHE IL SECONDO MANDATO…
Fjona Cakalli per www.gqitalia.it
I viaggi di lavoro non sono notoriamente dei viaggi di piacere, soprattutto se la tua ultima meta è Shenzhen, una megalopoli cinese di 12 milioni di abitanti, una città sconfinata e apparentemente senza anima.
Se non siete mai stati in vita vostra a Shenzhen potrebbe sembrare di trovarvi un mondo parallelo, uno di quegli scenari incredibili e surreali che solo in sogno potrebbero sembrare lontanamente verosimili. Ogni tanto però questi viaggi di lavoro riservano delle sorprese, piacevoli quanto strampalate.
Dopo una lunga visita nella sede di un colosso della tecnologia cinese, i nostri accompagnatori – di punto in bianco – si propongono di accompagnarci in un centro massaggi di Shenzhen, «così vi rilassate un po’», dicono.
Saliamo su un pullman sgangherato, siamo un gruppo di quasi trenta persone. Mi domando come diavolo faccia un centro massaggi a gestire così tanti esseri umani tutti in una volta. Indago: «ma abbiamo prenotato?» La nostra guida cinese risponde di no.
L’immaginazione non mi manca di certo e inizio a prefigurarmi scenari apocalittici in cui “batterie” di massaggiatori – tipo polli in gabbia – massaggiano senza tregua il cliente di turno.
Il pullman si ferma. Siamo arrivati. Di fronte a noi un palazzo altissimo. Ci dirigiamo verso l’ingresso; ad accoglierci l’insegna “678 International Club” e un immenso albero di Natale (uno dei più trash mai visti in vita mia). Prendiamo un ascensore e probabilmente saliamo di qualche piano.
Le porte dell’ascensore si aprono e mi si parano di fronte gli addetti alla reception: le ragazze indossano un abito lungo fino ai piedi di velluto porpora con degli inserti dorati sulla parte frontale, i ragazzi invece un paio di pantaloni neri e un’orribile giacca della stessa fattura del vestito delle ragazze.
Mi guardo attorno e, ovunque io giri il capo, vedo inutile opulenza: oro unito a decorazioni natalizie di colore fosforescente. Tutto il cattivo gusto del pianeta sublimato in un luogo solo.
Ci sediamo e iniziamo a leggere il menù dei massaggi. Degli abitué mi consigliano il massaggio con gli oli, perché, la leggenda narra, sono tra i più interessanti.
Faccio un calcolo rapido: 90 minuti, più o meno 50 euro. Non economico per essere in Cina. Scopro infatti che questo centro è accessibile solo a cinesi benestanti. Gente con i soldi.
Intanto alcune ragazze dello staff dividono gli uomini dalle donne. Arriviamo in uno spogliatoio in cui delle signore anziane (tanto anziane) con fare decisamente ruspante, ci spingono in una sala in cui ci invitano – o per lo meno questo è ciò che ho immaginato – ad indossare una completo (maglietta e bermuda) dai toni caldi e a righe verticali. Non potete immaginare il disagio. Lasciamo i nostri effetti personali all’interno di armadietti fatti di finta pelle di coccodrillo e con una ghirlanda di fiori di plastica poggiati sopra. Da quel momento in poi sono senza smartphone, non posso più documentare nulla.
Dopo una doccia veloce per lavare via la stanchezza accumulata durante la giornata, ci rimettiamo nuovamente il pigiama a righe e ci dirigiamo in una gigantesco salone. Qui chiedo alla cliente abitué quando diavolo possa essere grande questo posto. Mi dice: “2000 metri quadrati ed è operativo 24 ore su 24″. In pratica una fabbrica. Rimango di stucco.
Mentre attendo il mio turno vedo dei pannelli touch sparsi per tutto il salone: mi metto subito a smanettare. Volti di ragazze, truccatissime, dalla pettinatura perfetta, ognuna con la sua scheda. Scorro con il dito e ne conto quasi 20. Chiedo a uno dei nostri accompagnatori cinesi (che parla inglese a modo suo): «sai, i clienti vogliono essere massaggiate da belle ragazze, mica da quelle brutte».
Provo a dirgli: “ma scusa, ti deve massaggiare la schiena, non la vedi quasi nemmeno in volto… a cosa serve che sia bell…”.
Mi interrompo bruscamente. Non ci sarà mica un happy ending una volta terminato il massaggio? No, perché in questo modo tutto acquisirebbe un senso. Con la lampadina ancora accesa sulla testa, con lo sguardo cerco altri indirizzi che confermino la teoria dell’happy ending.
In fondo al salone, mentre sono intenta ad addentare la frutta che ci hanno offerto, scorgo una ragazza con un tailleur grigio dalle insolite dimensioni: diciamo pure che la gonna non lasciava praticamente nulla all’immaginazione.
Forse qui accadono cose. Provo a chiedere alla guida cinese: “ma noi non possiamo scegliere la ragazza, come fanno gli altri clienti cinesi?”. Mi dice: “no, non è possibile, siamo in troppi. Ci dovranno dare anche quelle brutte…”.
Storco il naso, non perché non sarò massaggiata da una dea greca, ma semplicemente perché volevo fare qualche domanda alle ragazze.
Arriva il nostro turno per il massaggio, veniamo chiamati tutti e trenta contemporaneamente. Immagino che per soddisfare le nostre esigenze abbiano chiamato a rapporto tutte le massaggiatrici disponibili al “678 International Club”.
Ci portano in una saletta con tre lettini e ci chiedono di pazientare un po’. Io sono dentro – sempre con il pigiama a righe – con altre due ragazze spagnole del nostro gruppo. Nell’attesa metto la testa fuori e vedo che il corridoio è costellato di porte. Dentro a uno degli stanzini trovo uno del nostro gruppo, da solo. “Ma scusa, perché tu hai un solo lettino nella stanza?”.
E lui: “a dir la verità tutti i ragazzi hanno la ‘stanza singola’, solo voi donne venite massaggiate in tre contemporaneamente”.
Mi puzza, mi puzza maledettamente di happy ending.
Entrano le tre massaggiatrici, cala il silenzio. Mi cosparge la schiena di olio e inizia a far correre le sue mani sul mio corpo. Cerco di rilassarmi, ci provo, ma non riesco perché la curiosità attanaglia ogni meandro della mia materia grigia.
Intanto le tre massaggiatrici chiacchierano, in cinese ovviamente, ridendo. Le due compagne di stanza cadono in un sonno profondo e io passo novanta minuti di quasi-relax.
Verso la fine, la massaggiatrice è palesemente stanca, la presa si affievolisce, si sta per spegnere. In effetti era quasi sera. Quali sono le condizioni di lavoro di quella ragazza? Quante ore al giorno lavora per ridursi così? Quanto la pagano? Rimarranno solo dei quesiti senza risposta, non lo saprò mai.
Finito il massaggio, ci rimettiamo di nuovo il pigiamino a righe. Incontro uno dei ragazzi. Provo a chiedergli, con fare disinteressato: «e allora? è successo qualcosa?».
«A parte farmi fare un massaggio, dici? No niente».
Non so se lo dicesse con un tono sconsolato oppure sollevato. Non saprò mai nemmeno questo.
Ritorniamo nel salone ricolmo di frutta, dolciumi e altre cibarie. Provo ad andare in esplorazione per vedere cosa accade in quei 2000 metri quadrati ma vengo subito chiamata all’ordine: «dobbiamo andare», mi dicono, «ci attendono al ristorante».
Con l’olio tra i capelli e le gambe che tremavano, continuavo a pensare a quel posto totalmente assurdo, opulento, trash e così affascinante. Chissà quali segreti cela quel luogo.
Ho dovuto smettere molto in fretta però di pensare al “678 International Club” perché la mia mente richiedeva una certa concentrazione sul cibo che di lì a breve avrei consumato: un piattone di larve fritte.
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