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IL TESTAMENTO BIOLOGICO? UN SUCCESSO! - DAL VARO DELLA LEGGE, IL 14 DICEMBRE DELLO SCORSO ANNO, SONO STATI 922 MILA, MA I TRATTAMENTI DI FINE VITA NON DICHIARATI SAREBBERO MOLTI DI PIÙ - IL MEDICO, CON IL CONSENSO DEL PAZIENTE, PUÒ METTERE IN ATTO LA SEDAZIONE PALLIATIVA PROFONDA, UNITA ALLA TERAPIA ANTIDOLORIFICA…

Marco Bardesono per “Libero quotidiano”

 

TESTAMENTO BIOLOGICO

Non è come per l'aborto. I medici obiettori al Dat, dichiarazione anticipata di trattamento (il testamento biologico o biotestamento) sono pochissimi. Dal varo della legge, il 14 dicembre dello scorso anno (entrata in vigore a gennaio del 2018) ad oggi i camici bianchi che hanno rifiutato di seguire pazienti autodeterminati nello scegliere le terapie di fine vita, sono stati pochi.

 

Diversamene da quanto accaduto con la 194, una volta approvate le nuove norme, i cattolici non hanno alzato le barricate, perché di cure palliative e di farmaci che sedano il paziente accompagnandolo alla fine della sua vita, «anche nelle cliniche gestite dai religiosi, se ne è sempre fatto largo uso», dice Aldo Morandi, direttore di una residenza per anziani della provincia di Torino.

 

Una prassi accettata, sia pur condivisa in maniera velata, che supera di gran lunga i numeri di un primo bilancio, cioè quello del totale dei Dat che in questi dodici mesi sono stati protocollati negli appositi registri di ogni regione. I testamenti sono stati 922mila, ma i trattamenti di fine vita non dichiarati sarebbero molti di più.

 

TESTAMENTO BIOLOGICO

I Dat sono documenti che hanno valore legale e che sono stati scritti per specificare in anticipo le terapie da intraprendere nel caso di un'impossibilità del paziente a comunicare a causa di una malattia. La legge prevede che «nessun trattamento sanitario possa essere somministrato senza il consenso in forma scritta o videoregistrata da parte del paziente».

 

TERAPIE

Le norme approvate un anno fa garantiscono il diritto all'abbandono delle terapie, impedendo l' accanimento terapeutico. «Il medico, con il consenso del paziente, può mettere in atto la sedazione palliativa profonda, unita alla terapia antidolorifica».

Ciò accade di frequente per patologie tumorali che, specie negli ultimi giorni di vita del malato, provocano sofferenze terribili. Irma Mautino, 73 anni, ha fatto testamento e spiega perché: «Vivo sola - dice -. Sono rimasta vedova cinque anni fa. Ho seguito mio marito durante la sua malattia.

 

Finché c' è stata una speranza, è stato curato a dovere. Nell' ultimo mese, invece, le uniche medicine che prendeva erano antidolorifici. Poi abbiamo scelto insieme la sedazione profonda. Prima della somministrazione ci siamo abbracciati e salutati per l' ultima volta. Lui è mancato 48 ore dopo.

TESTAMENTO BIOLOGICO

 

Io non ho nessuno, per questo ho lasciato scritto cosa fare, e come tutore ho nominato il mio medico. Già si soffre per tutta la vita, lasciateci almeno morire sereni». Nel Dat, infatti, deve essere nominata una persona di fiducia che rappresenti il paziente e di solito si sceglie un famigliare o il medico di famiglia.

 

Dal varo della legge non esistono cifre ufficiali sul numero di testamenti registrati, per ora c' è solo una ricerca effettuata da Focus Management per conto di Vidas, associazione milanese che si occupa di assistenza gratuita ai malati terminali e altri studi realizzati solo in alcune regioni. Analizzando i dati emerge che in Lombardia il 3% della popolazione ha fatto testamento, circa 300mila persone. Seguono Toscana, Emilia Romagna e Liguria.

L' 85% delle dichiarazioni anticipate di trattamento si sono registrate del nord del Paese, nel meridione non si è andati oltre il 15%.

 

SCARSE INFORMAZIONI

TESTAMENTO BIOLOGICO

Percentuali che fanno riflettere e che, verosimilmente, sono dovute a informazioni incomplete su quanto prescrive la nuova legge. Infatti il 53% degli italiani ne ha «sentito parlare superficialmente»; solo il 28% «sa bene di cosa si tratta»; il 18% non ne ha mai sentito parlare. Il 50% del campione preso in esame dalle ricerche, ha avuto informazioni dalla televisione, il 30% dai quotidiani, il 12% dal "passaparola", il 5% dai medici di famiglia, il 3% ha preso visione delle nuove procedure navigando sul web.

 

«La scarsa conoscenza della legge - spiega Barbara Rizzi, direttrice scientifica di Vidas - e le difficoltà attuative, ci hanno spinto a farci capofila di un' azione di informazione e sensibilizzazione» perché accade che i Dat vengano spesso scambiati come una forma mascherata di eutanasia o di suicidio assistito. In realtà le differenze sono profonde: «Nel suicidio assistito, che è un forma di eutanasia - chiariscono all' associazione Luca Coscioni - a seguito di un iter regolamentato e sotto stretto controllo medico, la persona che ne fa richiesta si somministra un farmaco per porre fine alla propria vita». La legge che ha istituito i Dap, invece, «è ispirata a un diritto mite - dice Emilia De Biasi, relatrice della legge - che non vieta, ma consente di scegliere perché il dolore non è un destino inevitabile».