DAGOREPORT - SUL PIÙ TURBOLENTO CAMBIO D'EPOCA CHE SI POSSA IMMAGINARE, NEL MOMENTO IN CUI CRISI…
Flavia Amabile per “la Stampa”
È un normale pomeriggio di luglio a Roma. Sono terminate le proteste dei giorni scorsi che avevano provocato malori, liti, ressa e interventi della polizia nella metro. È solo un normale pomeriggio con la temperatura da Africa subsahariana ed un tasso di umidità da premonsone. Roma appare come una città liquefatta, diluita, sempre più inafferrabile. Non per il caldo ma per quella disarmante certezza di non avere più certezze.
Alla fermata degli autobus a trenta metri dal Campidoglio un grappolo di persone sudate aspetta guardandosi intorno con aria disorientata: la palina degli arrivi è fuori uso. Da lì ci sono almeno 6 linee diverse di autobus in grado di portare ad una fermata della metropolitana. La prima passa dopo dieci minuti di attesa. In pieno centro. Le porte si spalancano su un abisso di umanità accaldata: se c’è dell’aria condizionata accesa nessuno se ne accorge. Una turista chiede all’autista se è l’autobus per andare alla stazione. «Ahò, e che domande so’? E io me fermo pure».
Sono le due e mezza del pomeriggio. Alla stazione della metropolitana di Piramide le possibilità di attesa sono due. Di lì parte il trenino per Ostia, frequenza uno ogni mezz’ora che con il trascorrere delle ore diventano almeno 45. Da un altro marciapiede passa la linea B della metropolitana, minimo dieci minuti. Sulla banchina hanno il tempo di affollarsi stuoli di persone. Alessandra ha il costume sotto i vestiti e una bambina per mano, sta arrivando da Ostia: «E’ sempre così: ora hanno anche portato la frequenza dei treni per Ostia da dieci minuti a mezz’ora. Noi però paghiamo sempre la stessa cifra. Anzi, di più».
Quando finalmente arriva il treno ci si ammassa dentro come si può, ognuno con la mano sulla borsa. Non solo non c’è aria condizionata, non c’è proprio aria. Si respira soltanto quando si aprono le porte e viene voglia anche di ringraziare per essere arrivati. In fondo, non è successo nulla di grave: non c’è un’emergenza né uno sciopero, si impiega solo il triplo del tempo. E’ colpa di Alemanno, di Marino e di tutti i sindaci di Roma ma andrà di sicuro meglio se si lasciano le linee dell’Atac, l’azienda municipale dei trasporti.
Il prossimo treno delle Fs per Fiumicino parte alle 15,35. Le macchine self-service per acquistare il biglietto sono ovunque nella stazione. Spingendo il primo tasto appare una scritta enorme sullo schermo: «Attenti ai borseggiatori». In effetti intorno alle macchine circolano da anni inquietanti personaggi che con la scusa di aiutare sono pronti a tutto. Il treno è puntuale e anche dotato di aria condizionata, la prima in due ore. C’è solo uno strano andirivieni di addetti alla protezione dell’azienda e poi di polizia: hanno trovato una valigia incustodita, è scattato l’allarme. Dopo alcune verifiche la valigia viene portata via, si parte. «A Roma c’è sempre qualcosa che non va», commenta Leonardo, 50 anni, che sta andando a prendere l’aereo per tornare a casa.
SCIOPERO MEZZI PUBBLICI A ROMA
Si arriva a Fiumicino dopo le quattro. Alle partenze internazionali non c’è folla. Tutto sembra procedere a meraviglia finché non si intravede la prima mascherina, poi la seconda. Sono passati più di due mesi dall’incendio che aveva messo in ginocchio lo scalo, il terminal T3 è stato riaperto ma la normalità è lontana. Accanto agli schermi luminosi delle partenze è stato installato un pannello con un avvertimento molto chiaro: «Velocizzare l’arrivo presso l’area di imbarco». Come dire: allontanatevi in fretta da qui. E tutti si allontanano in silenzio. In fondo non è successo nulla di grave, non c’è un’emergenza né uno sciopero. E’ solo un normale pomeriggio fra i trasporti della capitale d’Italia.
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