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Brahim Maarad per "l'Espresso"
L’inferno è nei palazzoni del regime che circondano la città. E’ nelle ville apparentemente abbandonate della periferia. E’ nei bunker dove i dannati vengono torturati e uccisi. Nell'inchiesta esclusiva de l'Espresso, in edicola da venerdì 15 aprile, le immagini delle prigioni del Cairo usate dagli agenti dei servizi segreti al comando di Al Sisi per seviziare e uccidere dissidenti e testimoni.
E’ in una di queste celle che Giulio Regeni ha passato probabilmente gli ultimi giorni della sua vita. Ma prima di lui ce ne sono stati tanti. E dopo di lui ne sono arrivati altri (nel 2015 sono sparite mediamente tre persone al giorno). Pochissimi lo possono raccontare. “Mi stupisce che resistiate così a lungo. Questa prigione è costruita per fare in modo che chi ci entra o muoia o perda la testa”.
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Sono le parole del generale Mohamed Elfaham, responsabile della prigione Al Aqrab (lo scorpione) a sud del Cairo. Lo diceva ai prigionieri che lo ricordano come uno dei più clementi. A raccontarlo è il ricercatore Haitham Ghoniem, che ha raccolto le testimonianze di chi è finito in quei luoghi dell’orrore.
A partire dalla sua. Solo dopo il caso Regeni ha però trovato il coraggio di raccontarle al mondo. Ha sempre temuto per la sua vita. “Ho reso tutto pubblico nella speranza di poter riuscire finalmente a dormire”, spiega. “Ogni volta che chiudo gli occhi sento le urla delle torture”.
L’ex colonnello della polizia egiziana, Omar Afifi, dal 2008 esiliato negli Usa, nell'intervista a l'Espresso punta il dito contro i servizi di sicurezza del regime e fa i nomi dei responsabili della morte di Giulio: “Sono anni che nessun cittadino straniero può essere interrogato senza che gli Interni lo sappiano. E’ il regolamento ed è sempre rispettato”.
L'ex colonnello non crede che dall'Egitto arriverà mai la verità sulla morte di Giulio. “E’ impossibile che il governo del Cairo collabori fattivamente con l’Italia. Sono coinvolti i vertici al comando. E' come chiedergli di consegnarsi alla giustizia. Non è da escludere che Al Sisi consegni un ufficiale sacrificabile. Lo condannerebbero a tre anni da scontare in qualche castello e poi verrebbe promosso”.
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