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Una lezione per tutti gli editori e i direttori: mai incaponirsi contro un nemico per aumentare le copie. Prima o poi, la pacchia finirà. È successo con “Repubblica” e Berlusconi, e ora succede con il “Washington Post” e Trump. Il giornale, di proprietà di Jeff Bezos dal 2013, negli ultimi anni ha registrato un indiscutibile successo.
Premi Pulitzer a valanga, ma non solo: in molti lo guardavano e vedevano il giornalismo del futuro, con i suoi investimenti, gli scoop e l’aumento di lettori. Tutto bene, finché Trump non è caduto, e con esso anche il “Post”.
Secondo quanto riporta il rivale “New York Times”, l’azienda sta perdendo milioni di dollari, e centinaia di migliaia di abbonati: gli iscritti paganti sono scesi sotto tre milioni e le entrate pubblicitarie sono calate a 70 milioni di dollari nella prima metà del 2022 (-15%).
L’amministratore delegato imposto da Bezos, Fred Ryan, ha addirittura ventilato l’ipotesi di tagliare 100 posti di lavoro dalla redazione, il 10% secco dell’intero organico. E pensare che avevano addirittura pensato di comprarsi il “Guardian”, “Associated Press” e “Economist” (di proprietà degli Agnelli) per creare “la fonte definitiva di notizie per il mondo anglofono”.
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