QUALCHE SETTIMANA PRIMA DI ESSERE RAPITA, YARA AVEVA CONFIDATO AL FRATELLINO CHE QUALCUNO LA STAVA OSSERVANDO - IL VERBALE DELLA MOGLIE NON FORNISCE A BOSSETTI ALCUN ALIBI PER LA SERA DEL DELITTO

Fiorenza Sarzanini per il "Corriere della Sera"

 

Aveva paura Yara Gambirasio. Qualche settimana prima di essere rapita davanti al centro sportivo di Brembate, si era spaventata perché aveva notato un uomo che la osservava. Lo aveva raccontato al fratellino, ma poi quella sensazione si era affievolita e anche i genitori non avevano fatto troppe domande, forse per non turbarla ulteriormente.

 

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Quel dettaglio torna adesso al centro dell’indagine e assume tutt’altra valenza. Perché convince gli investigatori che Massimo Giuseppe Bossetti possa aver «puntato» la ragazzina, che abbia scelto proprio lei tra le tante giovani che frequentavano la palestra. Un’ipotesi rafforzata dai racconti delle persone interrogate nelle ultime ore. Residenti in quella zona, commercianti che ricordano di aver notato l’uomo proprio nel periodo della sparizione e così forniscono indicazioni preziose.

 

Sono tasselli di un mosaico che si compone lentamente. Un quadro dove ogni indizio, parola, dettaglio può diventare nuova prova. Ecco perché questa mattina il pubblico ministero Letizia Ruggeri interrogherà di nuovo l’indagato. Vuole verificare se di fronte alle prove già contestate abbia cambiato linea difensiva decidendo di rispondere. E porterà un nuovo elemento: il verbale della moglie che non gli fornisce alcun alibi per la sera del delitto.

 

LA MAMMA E GUERINONI

massimo giuseppe bossetti il presunto killer di yara gambirasiomassimo giuseppe bossetti il presunto killer di yara gambirasio

In attesa dell’udienza di fronte al giudice che dovrà decidere se convalidare il fermo del muratore di 43 anni accusato di essere l’assassino, carabinieri e polizia intensificano le verifiche, interrogano familiari, amici, conoscenti. Ci sono gli specialisti del Ros, quelli dello Sco. Fanno la spola tra Bergamo e i paesi della provincia, rincorrono ogni indizio, verificano anche elementi apparentemente insignificanti.

 

Sanno che l’inchiesta è in una fase delicata, non si può sbagliare, si deve studiare ogni mossa. Sono consapevoli che il risultato delle analisi del Dna sta sconvolgendo famiglie, distruggendo vite. Ma non possono fermarsi. Per questo parlano a lungo con i genitori di Yara, verificano se possano essere entrati in contatto con Bossetti. Loro lo escludono: «Forse da ragazzi ci siamo incrociati, ma non lo conosciamo».

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Mettono sotto pressione Ester Arzufi, 67 anni, la madre del presunto omicida. Lei però non cede, anzi nega di essere stata l’amante di Giuseppe Guerinoni, di aver avuto con lui due figli. «Eravamo ragazzi, stavamo in paese tutti insieme, certo che lo conoscevo, ma con lui non ho mai avuto alcun rapporto, tantomeno una relazione. Non è lui il padre dei miei gemelli», giura la donna.

 

E per tentare di dimostrare la propria buona fede aggiunge dettagli su Vincenzo Bigoni, l’altro autista di Gorno che per primo disse di aver saputo che Guerinoni aveva avuto una relazione clandestina e un figlio illegittimo: «Ricordo bene anche lui, si era invaghito di una ragazza che poi è la sorella di mio marito». Altri intrecci buttati lì forse per confondere. Non serve, perché il Dna ha fornito un risultato definito dal pubblico ministero «di assoluta certezza» per identificare Bossetti come «Ignoto 1», l’uomo che ha lasciato una traccia di sangue sugli slip di Yara.

 

LA MOGLIE E L’ALIBI

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Anche Marita Comi, che a Bossetti ha dato tre figli, viene interrogata. La legge concede alla moglie di sottrarsi, lei non lo fa. Anzi parla, racconta, ricostruisce. «Lui ha una vita regolare, è molto dedito alla famiglia», spiega. Poi le chiedono di andare indietro con la memoria, alla sera della scomparsa di Yara. Ma su questo non sa dire nulla. A che ora è tornato? «Non lo so». Avete cenato insieme? «Non ricordo». Orari, spostamenti, lavori svolti in quel periodo? Nulla, che le torni in mente. Niente che possa almeno apparire come un alibi.

 

È strano, molto strano. Perché quel 26 novembre del 2010 quando Yara sparì all’improvviso, la notizia circolò velocemente. E già durante la notte cominciarono le ricerche diventate poi mobilitazione di centinaia di persone per giorni e giorni. Fino al 26 febbraio 2011, giorno del ritrovamento del cadavere. Possibile che una persona della zona, per di più una mamma, non ricordi che cosa ha fatto quella sera? Che non abbia tenuto a mente ogni dettaglio e spostamento del marito, dei figli, degli altri familiari? Il dubbio è che lei in realtà sappia tutto, ma abbia così deciso di marcare la distanza dall’uomo diventato il mostro.

 

LE ANALISI SUI REPERTI

Chi è davvero Massimo Giuseppe Bossetti? Dalla sua casa i carabinieri hanno portato via alcuni giubbotti, diversi taglierini. Gli hanno sequestrato il furgone e l’automobile. Adesso è tutto nei laboratori del Ris, ma appare difficile che le analisi sui reperti possano fornire risultati utili. Perché in realtà l’assassino ha tentato in ogni modo di non lasciare tracce dietro di sé.

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Nella tasca di Yara c’erano un lettore Mp3 e una batteria del telefonino, ma l’apparecchio era sparito evidentemente per evitare che agganciasse le celle e tracciasse il percorso. Il cellulare di Bossetti invece risulta in zona un’ora prima della scomparsa della ragazzina perché fa una chiamata. Ma dopo tace, resta muto tutta la notte e alle 7 del giorno dopo, quando «parla» di nuovo, Yara è già stata abbandonata nel campo di Chignolo d’Isola.

 

Perché ha preso proprio lei? Perché si è accanito con tanta violenza? L’aveva vista in precedenza, le aveva parlato? O forse l’aveva soltanto osservata da lontano, lasciandole quella sensazione di paura svanita con il trascorrere dei giorni? La sera della sparizione Yara era tranquilla. Toccava a sua sorella portare lo stereo in palestra, lei però si era offerta di sostituirla. «Torno presto», aveva detto. L’hanno ritrovata tre mesi dopo. Una bambola rotta, presa e buttata via. 

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