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    CUCU’, BLU NON C’E’ PIU’ - LO STREET ARTIST BLU CANCELLA I MURALES A BOLOGNA IN SEGNO DI PROTESTA CONTRO LA MOSTRA IN CUI SARANNO ESPOSTE LE SUE OPERE - ESPLODE LA PROTESTA DEI WRITER - SGARBI: “NON SI PUO’ CHIUDERE IN UN MUSEO L’ARTE DI STRADA”


     
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    1. I WRITER RIBELLI DI BOLOGNA “BOICOTTARE QUELLA MOSTRA”

    Da “la Repubblica”

     

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    Boicottaggio della mostra “Street Art”, dove saranno esposte da venerdì 18 marzo anche opere staccate da muri cittadini, e un “megamuro” dove ammirare l’arte di strada senza dover pagare un biglietto.

     

    Dopo l’azione eclatante del più celebre graffitista italiano, Blu, che ha cancellato con la vernice grigia le sue opere sui muri di Bologna, la protesta del mondo dell’arte underground non si ferma.

     

    Per venerdì alle 9, a Palazzo Pepoli, nello stesso momento in cui la mostra tanto contestata aprirà al pubblico, è stato organizzato un evento “per non partecipare alla Street Art”.

     

    Su Facebook sono già state raccolte mille adesioni. E mentre sul muro rimasto grigio dopo l’opera di auto-cancellazione voluta da Blu compare una specie di epitaffio: «Rimpianti sì ma in ogni caso nessun rimorso», sul blog dell’artista si leggono poche righe: «A Bologna Blu non c’è più e non ci sarà finché i magnati magneranno».

     

    2. LO STREET ARTIST BLU CANCELLA LE SUE OPERE
    Vittorio Sgarbi per “il Giornale”

     

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    Lo street artist Blu sabato ha protestato platealmente a Bologna, distruggendo i propri murales in giro per la città in segno di protesta contra la mostra Street Art - Bansky&Co. dove dal 18 marzo saranno esposte anche sue opere staccate dai muri cittadini senza chiedergli l' autorizzazione. Nel 2007 lo stesso Blu dipinse su mia richiesta un gigantesco murale, sulla parete d' accesso del PAC, il Padiglione d' arte contemporanea a Milano.

     

    Io ero l' assessore alla Cultura del Comune, e avevo programmato la mostra Street Art, Sweet Art. Non ebbi problemi nella mia opera di «legalizzazione», e anzi nacquero amicizie e nuovi progetti. In sostanza offersi ai graffitisti di occupare uno spazio pubblico.
    Una perfetta antinomia. Non una mostra su di loro ma una mostra con loro.

     

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    Ora Bologna, a Palazzo Pepoli, progetta una mostra sulla stessa materia - Street Art - Bansky&Co., appunto - ma grande è il disordine sotto il cielo, come il disperato tentativo di storicizzarli. Blu, con i suoi fan, arriva e distrugge tutte le sue opere dislocate nei centri sociali, per protesta contro l' iniziativa dell' istituzione culturale «Genus Bononiae» che ha progettato il distacco dei dipinti dai muri.
     

    Gesto nobile e autentico quello di Blu, che restituisce alla strada quello che nella strada è nato. E non è nato perché qualcuno lo abbia commissionato, ma per un gesto di trasgressione che rappresenta la posizione e la ribellione dei writers alle regole della società.

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    Caratteristica prima del graffito sono le grandi dimensioni, che il '900 - si pensi a Morandi o Mondrian - ricusa per piccoli quadri da stanza pensati per un collezionismo privato, ricco ed egoista. Unico precedente tipicamente consolidato sono i murales messicani di Diego Rivera, Siqueiros, Orozco, i quali hanno lavorato su commissione in nome del potere e della rivoluzione, come era stato da noi, sotto il fascismo, coi grandi murali di Sironi.

     

    Quando inizia l' avventura dei giovani graffitisti siamo nel pieno della crisi dei rapporti tra committenti e artisti e anche del disagio per trovare spazio e accoglienza. La loro reazione è dunque restare fuori dalle istituzioni e dai musei, un po' per scelta un po' per necessità.

     

    Così conquistano lo spazio urbano, principalmente in periferia, dove non chiedono a nessuno di poter sfogare la loro - talvolta eccellente - creatività. Eccoli dunque fuori legge. Il punto di irradiazione di questa concezione «coatta» è il centro sociale «Leoncavallo» a Milano dove i writers si esprimono tra le vie Antoine Watteau, grande pittore, e Gian Pietro Lucini, grande futurista, per singolare coincidenza.

     

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    Alcuni invenzioni dei writers saranno memorabili, ma lo è altrettanto la loro pervicace illegalità. Segue Bologna con vaste imprese nelle aree dei centri sociali, giudicate dal critico Antonio Storelli, titolare della galleria Portanova 12, tra i monumenti dell' arte contemporanea, che hanno reso Bologna la capitale del graffitismo.

     

    Oggi quella realtà è minacciata, non dai vandali, o da uno Stato punitivo, ma dagli stessi autori dei graffiti che non vogliono sentirsi espropriati di ciò che hanno fatto contro la legge. È un paradosso, ma è del tutto legittimo che Blu distrugga quello che ha fatto, per impedirne «l' estraniamento» nella ospedaliera sede museale, sradicando i graffiti dai luoghi dove sono stati realizzati e dove hanno il senso della storia, della libertà e della eversione. La rivoluzione non può essere portata in salotto. Meglio il cupio dissolvi.
     

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    Capisco le buone intenzioni di Fabio Roversi Monaco, presidente di «Genus Bononiae», ma devo ricordargli che sono stato il primo a fare prigionieri i writers nella memorabile mostra al PAC di Milano, dove, con Alessandro Riva, invitai, in spazi pubblici e nel rispetto di tutte le regole, numerosi giovani a esprimersi nel loro linguaggio libero, trasferito dalla strada al museo, espropriandoli della loro illegalità. Contestualmente, tentai di vincolare i graffiti del «Leoncavallo», luogo per eccellenza della occupazione e della trasgressione.
     

    Mi scontrai con il sindaco Moratti e con gli altri assessori che mi tolsero la competenza sul «Leoncavallo», perché il riconoscimento del valore artistico dei graffiti avrebbe prevalso sull' illegalità. Se sul muro di una casa Leonardo avesse abusivamente lasciato uno schizzo della Battaglia di Anghiari, l' importanza del reperto ci impedirebbe di distruggerlo. E noi, come accade con i graffiti dei prigionieri nello Steri di Palermo, saremmo a legittimare ciò che è fuori legge.
     

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    Ora, il caso vuole che al PAC, sulla facciata dell' edificio di Ignazio Gardella, io abbia commissionato proprio a Blu il dipinto che tuttora è in situ, sempre minacciato di essere cancellato, ma non guardato con sfavore(e piuttosto con inconsapevolmente complice indifferenza) dagli ultimi sindaci, Letizia Moratti e Giuliano Pisapia, forse perché non si sono accorti che, su uno sviluppo di più di dieci metri, rappresenta una montagna di cocaina a cui tutta la popolazione attinge.

     

    In realtà esso rappresenta un punto di equilibrio tra il gesto libertario del graffitista e la commissione pubblica. Non avrei mai immaginato di fare una mostra strappando dai luoghi dove sono state eseguite le opere che sono state concepite per quella situazione. Non so se la situazione sia riparabile. Blu ha paradossalmente rivendicato i diritti della sua illegalità. Non si può legalizzare ciò che nasce da un gesto anarchico.

     

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