Maria Teresa Meli per “Il Corriere della Sera”
Matteo Renzi ascolta Massimo D Alema
Metti un lunedì sera, a cena, con Massimo D’Alema. Metti che a quel tavolo ci siano tutti o quasi gli esponenti della minoranza del Partito democratico. Anche quelli che, formalmente, hanno siglato la cosiddetta «pax renziana», come, tanto per fare qualche nome, il capogruppo alla Camera dei deputati Roberto Speranza e i neo-componenti della segreteria, «plurale e non unitaria», per dirla alla Cuperlo, Enzo Amendola e Micaela Campana.
Non ci sono solo loro ovviamente: a quel tavolo c’è un folto gruppo della rappresentanza parlamentare del Pd, che, come è noto, è stata nominata dalla precedente segreteria.
In quell’incontro conviviale si parla di come arginare il segretario nonché premier. Che Massimo D’Alema sia arrabbiato con l’inquilino di Palazzo Chigi non è una novità.
Matteo Renzi ascolta Massimo D Alema
L’ex ministro degli Esteri, nei suoi conversari privati con i compagni di partito a lui più fedeli, lo dice senza troppi infingimenti: «A me aveva detto determinate cose, sia sulla composizione del governo che sulla nomina europea dell’Alto rappresentante e poi non ha tenuto fede alla parola data. Prima o poi qualcuno dovrà raccontare le bugie che dice quello lì».
Ed è stato proprio D’Alema a volere la cena, il 15 settembre scorso. Per vedere cosa ne pensino i deputati e i senatori del Partito democratico che fanno parte della minoranza (che poi, nei gruppi parlamentari, è praticamente maggioranza). C’è chi propone di andare giù duri sull’articolo 18, approfittando della protesta dei sindacati. E questo è un fronte che, di fatto, si è già aperto.
roberto speranza
Ma ce n’è un altro, che diventa di stringente attualità, visto che Matteo Renzi e Silvio Berlusconi hanno dato una «registrata» al patto del Nazareno sulla riforma elettorale. «Le preferenze, ci vogliono le preferenze e su quello bisognerà incalzare il premier. E poi le soglie. Sono troppo alte, così non vanno bene», viene detto da più parti.
micaela campana
Si discute persino di Quirinale. La successione a Giorgio Napolitano non è al momento all’ordine del giorno, ma la minoranza del Partito democratico vuole giocare d’anticipo sul presidente del Consiglio. Nel timore che Renzi possa spiazzare tutti puntando su una donna, viene fatto il nome di Paola Severino, ministra della Giustizia del governo Monti. È vero che si deve a lei la legge che ha portato fuori dal Parlamento Berlusconi, ma il suo nome non dispiace al centrodestra: Severino, tra l’altro, è in buoni rapporti con Gianni Letta.
Gianni Cuperlo
Non è una cena di congiurati, quella di lunedì scorso. Anche perché tutti a quel tavolo sanno che non è possibile ribaltare la maggioranza interna al Pd. Il tentativo, piuttosto, è quello di condizionare il leader, che, finora, è andato avanti senza assoggettarsi a troppi vincoli.
Ma anche le altre minoranze del Partito democratico non sembrano propense a rendere la vita facile al premier. Pippo Civati, che di tutti gli oppositori del presidente del Consiglio è quello che parla più chiaramente, non nasconde il suo fastidio. Ed è arrivato al punto di siglare un’alleanza interna con Beppe Fioroni, ex Ppi, ex Margherita, leader dei cattolici del Pd, figura quanto mai lontana da lui.
Silvio Berlusconi
Eppure i due, proprio ieri, assisi su un divanetto del Transatlantico di Montecitorio, confabulavano tra di loro. Oggetto dei loro discorsi, la decisione di prendere a breve, già a ottobre, delle iniziative comuni. Sulla scuola e sulla pace. Iniziative formalmente asettiche che, però, mirano a stanare il premier e a metterlo in difficoltà.
Insomma, nel Pd della «segreteria plurale», le diverse minoranze interne, si tengono le mani libere e puntano a minare la «pax renziana».
Paola Severino