O que dizer de Ibra?
Sua habilidade me faz refletir muito sobre a importância de um repertório motor de qualidade, com certeza as artes marciais o ajudaram muito na prática de movimentos como esses que são tão comuns de ver no sueco. Por mais repertório motor às crianças de hoje! pic.twitter.com/3HzxK9rptU
— entrelinhasdojogo (@entrelinhasdoj1) November 1, 2020
Giancarlo Dotto per il Corriere dello Sport
Ora basta, Zlatan! Stai esagerando. L’hai fatta grossa. Hai voluto oscurare gli ottant’anni di Pelè, i sessanta di Maradona, la morte di Sean Connery, nel giorno dei Santi, il tuo giorno. Non ce la racconti giusta. C’è qualcosa di enorme in te. Un segreto enorme ed è venuto il momento di scoprirlo.
Voglio penetrare in quella tua faccia da rapace, surfare nelle tue sinapsi ardenti, fare tutto l’itinerario che serve e fuoriuscire da quel tuo becco da sparviero, per coincidere con quel tuo sibilo di cobra, inconfondibile chiosa di ogni tuo messaggio al mondo.
I cronisti sportivi boccheggiano. Non sanno più che iperboli prendere. Sfiatano impotenti dietro le tue imprese a ripetizione. Continuano a menarsela con gli stupori infantili, gli ohhh… ormai rimasticati dall’uso. I titoli chiedono pietà. Basta con la storiella dell’anagrafe. Basta con questa menata dell’età, che sono trentanove da pochi giorni e tra poco saranno quaranta e domani cinquanta.
Basta chiedersi di quante vite disponi. È chiaro anche alle pietre e agli asini che tu non disponi più di una vita e nemmeno di tante vite, ma solo di un testo mitologico sottratto nottetempo alla storia, da aggiornare di giorno in giorno, di ora in ora, con accanimento luciferino. Ibra ha fede in Ibra. E quando Ibra ha fede le montagne si spianano e i mari, quando servirà, si apriranno. Per ora si aprono le aree di rigore e le porte come le braghe troppo larghe di un sedere troppo tremulo.
ibrahimovic
Era il minuto ’83 e la partita a Udine stava scivolando sull’inevitabile uno a uno, un pareggio che male odorava di sconfitta all’olfatto animalesco di qualcuno in campo. Avevi già servito l’assist vincente a Kessie, avevi più volte terrorizzato i pollicini chi ti giravano intorno, avversari e compagni.
Pochi minuti prima avevi incenerito il tuo quasi omonimo Brahim Diaz, tu che ti chiami Ibra Deus, tu che non hai altro Dio all’infuori di te, il ragazzo di Malaga che potrebbe essere tuo figlio se non fosse già una tua devota vittima: “Devi darla a me!”. La palla, s‘intende. Gli hai sibilato spaventandolo, con quella tua faccia rapace e il soffio da cobra, che ieri notte certamente gli saranno tornati in sogno.
IBRAHIMOVIC E MIHAJLOVIC
E però resti lì, non ti basta, che ti muovi solo per seguire l’odore del sangue. Vedi attorno a te colossi imbambolati dentro mutande troppo umane e capisci che sta passando l’attimo fuggente.
Ti avventi su quella palla sottovalutata, arpionando col destro, più feroce di Achab, una palla di nessuno, perché tua da sempre, lei stessa sapeva di esserlo, fai volare quella tua sagoma sempre più simile all’esoscheletro di un semidio e ti porti a casa la partita, i tre punti, l’abbraccio dei ragazzi che vestono la tua maglia, aggiungendo l’ennesima pagina al tuo clamoroso testo. E giù ora tutti ai tuoi piedi, a non saper più che dire.
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Secondo me, caro Zlatan, niente altro che Ibra, tu sei un caso psichiatrico da manuale. La tua magnifica storia somiglia un delirio paranoico. Lo stesso che sta dietro a certe grandezze assolute della storia. Storia infinita la tua, sempre più divorata dalla smania di onnipotenza. Dove sta il delirio di Zlatan? Che tu, Zlatan, credi in quello che un giorno ti sei inventato di essere. Nessuno che non sia un fumetto è così pazzo da credere al proprio doppio mitologico. Tu sei pazzo abbastanza.
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Hai inventato Zlatan, il tuo doppio, e sei diventato bulimico di Zlatan. Vivi solo per lui. Hai sfidato uomini e virus. Trasformi uomini e cose intorno a te. Hai fatto di Pioli al Milan, un onesto e placido navigante, un eroe destinato a oscurare gli Arrigo Sacchi e i Fabio Capello, e la sua erre, che prima era moscia, oggi è francese. Sballando sotto le stelle hai trasformato una squadra di timide donzelle in una banda di lupi.
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Te lo dico. Secondo me sei sprecato come calciatore. L’unica cosa in cui sei inadeguato è quando ti racconti. Tu sei un mistero inaccessibile anche per te stesso. “Io come Benjamin Button…”. Tu non un curioso caso. Tu sei un appassionante caso. E chi doveva raccontarti, Francis Scott Fitzgerald, non potrà più farlo. Tu non sei nato vecchio e non morirai giovane, ammesso che morirai. Tu hai realizzato quello che noi vaneggiamo di fare per due ore nel buio di un cinema. Hai stracciato l’anagrafe e sei diventato riconoscibile non per come ti chiami e per gli anni che hai, ma per le imprese che fai.
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Secondo me tu sei diventato definitivamente Zlatan il giorno in cui ti sei sentito cacciato dal paradiso che, nella tua testa, era il calcio di Messi e Guardiola. Quel giorno sei diventato spietato e paranoico, facendo della tua trama il tuo destino. Da Malmoe a Milano, passando per Torino, ancora due volte Milano, Barcellona, Parigi e Manchester, Los Angeles dove sei finito come fosse la spiaggia delle balene stremate. Poi, non ti bastava più essere uno strepitoso e strapagato mercenario. Sei tornato più forte di prima, con il tuo ghigno da Joker e lasciandoli i tuoi orfani in America con il commiato più arrogante di sempre: “Ora tornate a guardare il baseball”.
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“Mi cacciate dal paradiso, non mi date il Pallone d’oro? Poco male, io farò di me un semidio che se ne sibila di tutto e farò di voi dei poveracci, dei parvenu che sgomitano per un miserabile feticcio”. Nel frattempo, sopravvissuto anche alla propria statua di Malmoe, vandalizzata da chi s’illudeva che Zlatan gli appartenesse, come se lui potesse appartenere a qualcuno, Nel frattempo, eri uscito più volte dalla tua tenda zoppicando e scuro in volto. Prima i legamenti a Manchester e poi il polpaccio a Milanello. L’ha già detto: “Uscirò di scena non zoppicando, ma camminando sull’acqua”. Ora siamo in tanti a crederci.
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