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    MEZZANOTTE AL CHELSEA HOTEL - LE SCOPATE DI JANIS JOPLIN, LA SVOLTA ELETTRICA DI BOB DYLAN, WATERS STRAFATTO DI ACIDI, SYD VICIOUS E L’ASSASSINIO DI NANCY SPUNGEN: UN TRIONFO DI PUREZZA E CORRUZIONE NELL’ALBERGO DEI SOGNI DI MANHATTAN


     
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    Giuseppe Rizzo per “Il Foglio

     

    Uno scatto di Jack Kerouac Uno scatto di Jack Kerouac

    Una delle utopie più storte e magnetiche e anticapitaliste che gli Stati Uniti abbiano lasciato crescere sulla crosta del proprio cuore felicemente capitalista deve tutto a un bottone. Da quel bottone sono nati un mucchio di quattrini, un’idea di architettura e un edificio che è diventato il palcoscenico di una lotta fondamentale per l’uomo e l’arte, quella tra purezza e corruzione.

     

    Questa è la storia di quella battaglia e degli uomini che l’hanno combattuta: questa è la storia del Chelsea Hotel. La fotografia che vi dovete mettere davanti è tratta da “Chelsea Hotel. Viaggio nel palazzo dei sogni” (Edt, 536 pp., 23 euro), il meraviglioso saggio di Sherill Tippins sull’edificio: “Una commistione allora di moda tra gotico vittoriano e stile Queen Anne (…) vivaci e asimmetrici tetti a punta, lucernari e comignoli in mattoni rossi (…) Ottanta appartamenti (…) Quindici atelier all’ultimo piano (…) I tagli per le famiglie venivano tra i 7 e i 12 mila dollari, gli affitti tra i 41,67 ai 250 dollari al mese”.

     

    Dall’ingresso dovete immaginare entrare e uscire: Pollock, Burroughs e Warhol; Dylan Thomas e Bob Dylan; Edgar Lee Masters; Arthur Miller e Sid Vicious; Patti Smith, Robert Mapplethorpe; Hendrix, Cohen, i Rolling Stones e un’infinità di altre facce e storie, attaccate a collezionisti, preti, spacciatori, barboni e multimiliardari.

     

    Nancy Spungen fu trovata morta nella sua stanza Nancy Spungen fu trovata morta nella sua stanza

    Ma tutto questo poco prima della guerra civile americana, gli anni in cui tutta questa vicenda ha inizio, ancora non esiste. Esistono un bottone e le idee rivoluzionarie nella testa di chi l’ha creato: Philip Hubert. Figlio dell’architetto parigino Colomb Gengembre, Philip cresce tra gli entusiasmi della Rivoluzione di luglio, a cui il padre partecipa per cacciare Carlo X; le idee di Charles Fourier, per cui il padre ha lavorato; e i falansteri dove Colomb lo trascina nel tentativo di tradurre in realtà le idee del filosofo utopista. Sono tentativi fallimentari, ma è con queste formiche nelle vene che Philip parte per gli Usa.

     

     A Boston riceve un’educazione signorile e vien su educato e sobrio e vegetariano. Harvard gli offre una cattedra da ricercatore, e Hubert sta per dire sì, ma riceve una proposta che gli allenta le ginocchia. Fin da quando è ragazzo armeggia con oggetti di sua invenzione, qualcuno lo brevetta. Tra questi c’è un particolare tipo di bottone autoserrante su cui ha messo gli occhi il governo: potrebbe togliere un bel po’ di fastidi alle divise dell’esercito dell’Unione nella guerra tra nordisti e sudisti. A Hubert vengono offerti 120 mila dollari, una cifra che lo rende ricco e gli pettina i pensieri per il verso giusto: con quei soldi può trasferirsi a New York e applicare le idee di Fourier.

    Miller visse al Chelsea Hotel dopo il divorzio da Marilyn Miller visse al Chelsea Hotel dopo il divorzio da Marilyn

     

    Per capirsi, stiamo parlando di idee del genere: le città industriali sono “maleodoranti, soffocanti e mal costruite”; la salvezza sta nei falansteri; in ogni falansterio ciascuno libera le proprie abilità e le mette a disposizione degli altri; “le gloriose sinfonie umane” nate da queste comuni avrebbero fatto raggiungere all’universo “l’armonia perfetta”; armonia da cui erano esclusi i matrimoni, e di cui faceva invece parte una specie di sesso minimo garantito, smistato all’occorrenza con “orge celebrative”.

     

    Quello che Hubert desidera tirar fuori dai suoi disegni è un ideale di purezza che possa cambiare il mondo. Così inizia a realizzare gli “home club”, cooperative in cui i soci detengono un pacchetto di azioni corrispondenti alle dimensioni dell’appartamento, con spazi per le classi medie e proletarie. I primi home club, il Rembrandt, lo Hawthorne, e poi il Milano, il Mount Morris e il Versailles hanno successo e cambiano lo skyline di New York. Proprio mentre in città la speculazione e la corruzione dilagano per mano, tra gli altri, di William “Boss” Tweed e Jimmy Ingersoll.

    Il Chelsea Hotel fu rifugio di musicisti e scrittori Il Chelsea Hotel fu rifugio di musicisti e scrittori

     

    Il leader della Tammany Hall (organizzazione vicina ai democratici) e il fabbricante di sedie della Bowery trasformano “quello che in precedenza era stato un sistema imperfetto e confuso in scienza” (copyright New York Times). I due si arricchiscono facendo ottenere lotti di terreno ai costruttori, a cui poi chiedono bustarelle sempre più gonfie, fino alle inchieste e al carcere. Nel 1883 Ingersoll è costretto a vendere sette lotti vicino Chelsea, e a comprarli (per 175 mila dollari) è proprio Hubert, che vuole restituire la terra “sottratta” ai newyorchesi attraverso il Chelsea Association Building. “Siamo chiaramente all’inizio di un’epoca nuova”, scrive il New York Sun dopo l’inaugurazione, nel 1884.

     

    L’idea di Hubert era che al Chelsea si suonassero tutti i tasti del pianoforte: il nero degli emarginati, e il bianco dei ricchi illuminati e degli artisti. Quello che però attirò all’inizio fu un insieme di “pesci piccoli, dandy e annoiati, con quel leggero sentimentalismo da salotto”, come li avrebbe descritti William Dean Howells in “The Coast of Bohemia”.

     

    Alla fine dell’Ottocento la società fallì, l’aristocrazia se ne andò e “all’inizio degli anni Venti – come scrive Tippins – erano rimasti soltanto poco più di metà degli originari membri dell’associazione e degli inquilini”. Tra loro c’era anche Edgar Lee Masters, che aveva lasciato a casa moglie e figli e si era portato solo la bile per tutti i critici che non ritenevano nessuna delle sue opere all’altezza dell’“Antologia di Spoon River”. Quelli erano ancora anni tranquilli, come scrisse, ma presto il Chelsea si sarebbe trasformato in “una gabbia di matti”.

    La musa di Warhol Edie Sedgwick La musa di Warhol Edie Sedgwick

     

    Uno dei primi e più luminosi angeli folli a far la sua comparsa è Dylan Thomas. Il poeta gallese approda all’hotel durante il suo secondo soggiorno negli Stati Uniti. “Sapevo che l’America sarebbe stata così”, grida la prima volta. Davanti ha quella che ribattezza subito “New-lercia York”. Nel 1952 scopre il Chelsea e ne fa il quartier generale dei suoi tour di letture. Va in giro per il paese a riempire sale e tirare giù dagli occhi degli ascoltatori lacrime e incanto. E’ già un poeta affermato, un romantico che ha spazzato via l’intellettualismo di W. H. Auden a favore di una retorica visivamente potente.

     

    In più è ironico, e a uno scrittore, figurarsi a un poeta, l’ironia raramente viene perdonata. Thomas ha il torto di piacere alla gente, di trasportarla dentro immagini primordiali e manipolarne le emozioni: come un confidente, o un dittatore. “L’alcolismo di Thomas – dice Tippins – faceva parte della sua lotta per respingere la colpa provocata dal successo”. Inscena sul proprio corpo i segni della purezza dell’arte e della corruzione dell’autodistruzione, che tradotto significa: una pancia e un viso gonfi per l’alcool, i pensieri bui di chi passa le notti a fare il giro dei bar, le vene sempre più rotte dall’insicurezza e dalla volontà di potenza di chi sa (e teme) di avere un pezzo di mondo ai propri piedi.

     

    “E la morte non avrà più dominio. / I morti nudi saranno una cosa / Con l’uomo nel vento e la luna d’occidente; / Quando le loro ossa saranno spolpate e le ossa pulite scomparse, / Ai gomiti e ai piedi avranno stelle” (“E la morte non avrà più dominio”, “Poesie”).

    Dylan Thomas vedeva le blatte coi denti nella sua stanza Dylan Thomas vedeva le blatte coi denti nella sua stanza

     

    Al Chelsea viveva con l’amante, Liz Reitell, in mezzo a “scarafaggi che hanno i denti”. Il 4 novembre si alzò alle due di notte e le disse: “Devo uscire a bere un bicchiere”. Tornò qualche ora dopo: “Mi sono fatto diciotto whisky lisci. Penso sia un record”. E aggiunse: “Ti amo… ma sono solo”. Non si sarebbe più ripreso, neanche all’ospedale, neanche quando dal Galles lo raggiunse la moglie. Caitlin poggiò sul suo uomo moribondo una veloce occhiata di compassione, che lasciò presto spazio all’armamentario di una donna che si rende conto della fine di un matrimonio: bestemmie e pugni e un crocifisso scagliato contro le suore. La internarono in un manicomio, Thomas morì il 9 novembre 1953.

     

    Arthur Miller aveva fatto in tempo ad andarlo a trovare per coinvolgerlo in un progetto di cinema sperimentale – e s’era sentito rispondere che gli piacevano Chaplin e i Marx, poi l’aveva visto vomitare nel lavandino. Il drammaturgo era ritornato al Chelsea nel novembre 1962, dopo l’amore feroce con Marilyn Monroe, il divorzio, il crollo per la privacy violentata e il suicidio di quella femmina folle e fragile, l’agosto precedente.

     

    Nell’hotel trovò quello che cercava: la tranquillità di potere andare in giro spiegazzato (al Plaza metteva la cravatta pure per ritirare la posta); il riserbo degli inquilini; l’elettricità degli artisti che ci vivevano; le forze per rimettersi a lavoro dopo una stagione felice (“Erano tutti miei figli”; “Morte di un commesso viaggiatore”; “Gli spostati”) che sembrava finita. Aveva un’idea su cui lavorare e un sacco di sensi di colpa, la sua specialità: nei confronti del padre fallito, del fratello che aveva rinunciato al college, della sua fuga da quel mondo, di Marilyn. Voleva rispondere alle domande che lo tenevano sveglio: in che modo i tradimenti nei confronti di tutte queste persone mi hanno corrotto?

    Dennis Hopper con terry Southern Dennis Hopper con terry Southern

     

    Perché si finisce per fare ciò che non si vuole, allontanandosi dall’etica? Intitolò la pièce “Dopo la caduta: il sopravvissuto” (omaggio a “La caduta” di Camus) e si mise a scrivere la storia di Quentin, un avvocato che non ne può più della moglie, e si chiede se mollarla per la fascinosa amante: e se sarebbe stato in quel caso libero di amare, di raggiungere l’armonia perduta nei precedenti divorzi, se non fosse che lei a un certo punto si ammazza.

     

    Fin dalle prime battute è evidente che quella è la sua storia con Marilyn, e il cortocircuito si fa ancora più forte se si pensa che a portarla in scena saranno il regista Elia Kazan, che con Monroe aveva avuto una storia, e l’amante di Kazan nei panni di Marilyn (con tanto di parrucca bionda).

     

    Le letture si fanno al Chelsea e l’aria è sempre più irrespirabile: possibile che Miller sia così ipocrita da dipingersi come il buono, lui che si faceva pagare da lei gli alimenti all’ex moglie e spedire auto di lusso dall’Europa a sue spese?, si chiedeva Kazan. Se Miller preferì rimuovere, il pubblico fu di un altro avviso, e la prima dello spettacolo fu un disastro: la gente la trovò disgustosa, egoista, feroce. Per l’intera nazione, che dopo aver desiderato il corpo della star, ora si arrogava il diritto di prelazione sulla sua anima, frasi del genere erano abominevoli: “Sono stata con molti uomini, l’ho fatto per carità. E’ come se avessi dato da mangiare agli affamati”.

    JANIS JOPLIN GIOVANE JANIS JOPLIN GIOVANE

     

    Miller si portò la delusione e l’amarezza al Chelsea, che ora mal sopportava, così come l’America tutta, che ai suoi occhi stava cambiando, ma per il verso sbagliato. I beat e l’oriente, la liberazione sessuale, le marce per i diritti e contro il Vietnam, l’India, Nixon i Kennedy gli spinelli e gli attentati ai presidenti: era iniziato un decennio di meraviglia e tragedia per gli Stati Uniti.

     

    E l’hotel ne fu uno specchio fedele: Kerouac ci finiva a letto con Thomas Wolfe (“accoppiarci era un atto dovuto alla storia della letteratura”, bum); Leonard Cohen con Janis Joplin (“Ti ricordo bene nel Chelsea Hotel / Eri famosa, il tuo cuore era una leggenda”, “Chelsea Hotel n. 2”); Bob Dylan ci affilava la sua svolta elettrica e lavorava a “Blonde on Blonde”; Arthur C. Clarke ci scriveva “2001 Odissea nello spazio”; Warhol ci portava il suo circo di travestiti e finti divi per girarci “Chelsea Girls”, otto episodi proiettati su un doppio schermo che riprendono scopate, droghe, Edie Sedgwick che meraviglia, e un po’ di altro armamentario decadente e dissoluto.

     

    Miller: “Io vidi la nuova epoca, gli anni Sessanta, entrare barcollando nel Chelsea con i giovani occhi arrossati, e tentai anche di unirmi alla danza attorno al palo di calendimaggio, ma non ci riuscii: tutto continuava a sapere di egoismo e mollezza, e non di libertà”.

     

    Non c’è nessuno come Joan Didion che sia riuscita a cogliere il crollo di un intero paese, mentre il paese intero pensava di stare ancora volando: “Il centro non reggeva più (…) Gli adolescenti vagavano da una città straziata all’altra, liberandosi di passato e futuro come i serpenti si disfano della pelle (…) L’unica cosa che sembrava chiara era che avevamo distrutto noi stessi” (“Verso Betlemme”, Saturday Evening Post). E’ il 1967, Didion ha 33 anni, ma i suoi occhi registrano un cambiamento che altri ancora non vedono: è finito il tempo dell’edonismo.

    ROGER WATERS ROGER WATERS

     

    Al Chelsea il tutto si traduce in: Valerie Solanas, ex musa di Warhol, che passa per sparare all’editore del suo manifesto per l’eliminazione del maschio, non lo trova e va a sparare al genio della pop art nella sua Factory; Roger Waters dei Pink Floyd che vaga per i corridoi strafatto di acidi; Janis Joplin sfasciata dall’alcol che finisce a letto con chiunque; le camere affittate per girarci dei porno. Il trionfo della corruzione lo portano in scena al Chelsea Hotel Sid Vicious e Nancy Spungen. Il primo nel giro di qualche anno ha conquistato il mondo con i Sex Pistols e se ne è allegramente fottuto.

     

    Questa scena, raccontata da Dee Dee Ramone, lo descrive alla perfezione: “Vidi Sid tirare fuori un’orribile siringa incrostata di sangue, versarci dentro a colpetti un po’ di speed e poi immergerla in un gabinetto lurido per aspirare acqua per iniettarselo. Poco dopo si agitava sul pavimento (…) gli occhi che gli schizzavano dalle orbite”. Nancy, come dire, tutti la volevano morta. Groupie irriducibile, figlia di ebrei borghesi di Filadelfia, si era attaccata a Sid e gli dava continuamente ordini con la sua voce stridula e odiosa.

     

    Coi soldi del suo ultimo successo, “My Way”, avevano fatto per un po’ la vita, e cioè droghe e droghe, e occasionalmente alcol e qualche biglietto in prima classe. Nell’agosto del 1978 presero una stanza al Chelsea e si misero letteralmente ad aspettare che finissero i quattrini e con i quattrini la vita. Uscivano sempre meno dalla stanza, si facevano, guardavano la tv. L’11 ottobre diedero una festa.

    Syd Vicious Syd Vicious

     

    Circolò tantissima gente, e ancora più droga, e quando la gente ormai se n’era andata, nella notte il grido strozzato di Nancy, poi una telefonata al centralino, e il fattorino che entra nella stanza e la trova supina sul suo stesso sangue, mutandine e reggiseno e un taglio nell’addome. Quando la polizia arriva, Sid gli finisce praticamente tra le braccia, strafatto: “L’ho uccisa, non posso vivere senza di lei”.

     

    Fu arrestato, ritrattò, uscì su cauzione, si fecero delle ipotesi su una rapina, nessuno se ne interessò davvero. Vicious morì qualche tempo dopo per l’overdose causatagli dalla droga comprata dalla madre. Aveva 22 anni, lei 20, entrambi erano bianchissimi e secchi come lame, avevano scritto sulla pelle: i giovani cuori falliscono. Così come il Chelsea Hotel, nato da un vero e proprio atto di corruzione, sopravvissuto in cerca di una qualche purezza, venduto nel 2011 a proprietari che non si sa bene cosa ci vogliano fare.

    Nancy Spungen fu trovata morta nella sua stanza Nancy Spungen fu trovata morta nella sua stanza

     

    C’è una frase della scrittrice Marilynne Robinson che inquadra perfettamente questa storia. Si trova nel suo intervento per “Le Conversazioni”, festival organizzato a Capri da Antonio Monda e Davide Azzolini, che quest’anno aveva per tema proprio il binomio Corruzione/Purezza. Fa così: “Credo nel valore della purezza come ideale, e nella potenza della corruzione come realtà di fatto”. In cielo, dicono, c’è la purezza; in terra, di sicuro, c’è un miscuglio di cose splendenti e miserabili, commoventi e inutili, abominevoli, necessarie, di sicuro corruttibili. Questo miscuglio lo chiamiamo vita.

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