Alessandro Giuli per “Libero Quotidiano”
RENZI BOSCHI
Una prece per il caro estinto, un minuto di silenzio per il Partito democratico che giace esanime nell'obitorio politico che ai bei tempi fu l'incubatore di Matteo Renzi e del suo Giglio magico: la Toscana. Rovinosamente sconfitto nella città-stato di Siena, il Pd, per la prima volta dal secondo Dopoguerra; scacciato dalla coltivata e schizzinosa Pisa; esiliato dalla tormentata Massa posta a metà tra due insediamenti pentastellati come Carrara e Livorno.
RENZI E BOSCHI
Solo un anno fa era stata la volta di Pistoia, ma già nel 2015 erano giunti i primi e inascoltati segnali di crisi in quel di Arezzo, passata al centrodestra ben prima che Maria Elena Boschi diventasse l' effigie del renzismo impaludato nell' affaire Banca Etruria. Toscana infelix.
Insomma il Pd è morto o poco ci manca, e quando mostra di esistere con qualche guizzo di vitalità lo fa rimettendosi in combutta con tutto ciò che sta alla sua sinistra, da Leu in poi. Così è avvenuto nella portuale Ancona, roccaforte delle Marche sempre meno rosseggianti.
Così nella medioadriatica Teramo (decisiva la ragnatela delle liste civiche) e nella piatta terra del rimorso, la Puglia, come dimostra il caso di Brindisi.
PUNTIGLIOSA ANALISI
esterino montino
Così nelle isole del vecchio potere veltroniano, per esempio nella Fiumicino in cui è stato riconfermato con il pieno di voti il sindaco uscente Esterino Montino, ex segretario romano dei Ds ed ex capogruppo del Pd in regione Lazio. Nel glorioso Partito comunista, oggi, il Comitato centrale avrebbe il suo bel dafare con una puntigliosa «analisi della fase» anzitutto dedicata a quell'elettore su due che è rimasto a casa, presumibilmente disgustato da un'offerta politica misera e confusa.
Il paesaggio complessivo mostra un Pd frantumato e senza guida, in ritirata progressiva dai luoghi del disagio sociale (vedi il caso della neoleghista Terni), della borghesia produttiva settentrionale e dell'antico massimalismo emiliano, benestante e industrioso, con la bella Imola appena finita nelle mani del MoVimento Cinque stelle.
MARIA ELENA BOSCHI DA' IL CINQUE A MATTEO RENZI
Dopodiché la dice lunga il fatto stesso che si fatichi a individuare una leadership alla quale attribuire le colpe del tracollo. Di chi, dunque, la responsabilità primaria? Maurizio Martina ha equivocato sul termine «reggente» assegnatogli dopo la sconfitta del 4 marzo, si è creduto davvero qualcosa di diverso da un amministratore di condominio pro tempore. Carlo Calenda, greve neofita, ha scambiato il Pd per una zattera utile a traversare il guado che separa dall' illusione di un movimento che vada oltre la sinistra, cioè a destra dove però c' è già il tutto esaurito.
giuseppe sala matteo renzi
Giuseppe Sala, sindaco di Milano, ci ha messo del suo con quel ridicolo pranzo multietnico in Parco Sempione alla vigilia dei ballottaggi, salvo poi scoprire al lunedì d' aver regalato alla Lega anche Cinisello Balsamo, a un anno dalla sconfitta di Sesto San Giovanni: una Stalingrado via l' altra conquistate da Salvini (a questo punto, l' amico geniale che è accanto a ognuno di noi direbbe: è come se il proprietario dell' Atalanta Bergamasca Calcio trasferisse il proprio stadio a Ragusa e poi si domandasse, basito, per quale ragione non lo riempie più di tifosi...).
SALVINI GODE
salvini renzi
La verità - posto che ve ne sia una soltanto - è che Renzi e i suoi subalterni, percepiti ormai come un comitato d' affari paesani in disarmo, hanno lasciato dietro di sé una scia di fatua arroganza e un Pd ridotto in macerie intorno alle quali branchi di correnti randagie si disputano gli avanzi del banchetto. E non c' è nemmeno un Silvio Berlusconi a salvarli con un Nazareno a saldo. Restano in piedi i Roberto Saviano, convinti di poter finalmente egemonizzare le ultime frattaglie di sinistra con le loro assurde recriminazioni resistenziali, motivo in più per stappare bottiglie dalle parti di Salvini &Co.