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Celia Walden per il ''Daily Telegraph'', pubblicato in Italia da ''Panorama''
E' passato molto tempo da quando qualcuno mi ha raccontato una barzelletta sessista», esordisce Rose McGowan accennando un sorriso, «quindi non so se le trovo ancora divertenti. Perché, se ne è preparata qualcuna?». In effetti me ne ero preparate diverse mentre salivo con l’ascensore verso l’attico a Mayfair in cui soggiorna McGowan quando si trova a Londra, ma ora che sono qui, davanti all’ex attrice quarantacinquenne hollywoodiana (insiste che io scriva «perché spero di non recitare mai più»), non me ne ricordo neanche una.
Minuta, con i capelli cortissimi e a piedi nudi, con indosso un elegante maglioncino di cashmere nero a scollo rotondo e un paio di jeans strappati, riesce a sembrare al contempo fragile e agguerrita. La combinazione è disarmante. Rose McGowan, il cui racconto degli stupri e abusi subiti a Hollywood ha dato il via, dopo l’articolo il 5 ottobre dello scorso anno sul New York Times, a una vera rivoluzione, è diventata il volto e la voce del movimento #MeToo.
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Ha trovato la forza, uno scopo, e le è stato anche dedicato un hashtag: #RoseArmy. Tuttavia, tutto questo le ha reso difficile essere vista come un essere umano dalle molteplici sfaccettature in grado di ridere a una barzelletta sessista «se è divertente» e, al tempo stesso, respingere le proposte politicamente corrette come quella di cambiare la definizione di uomo -partita in giocatore -partita. Quello che è certo, però, è che nessuno si sarebbe aspettato che McGowan condannasse pubblicamente Asia Argento, una delle principali esponenti del movimento #MeToo, per le presunte molestie sessuali nei confronti dell’attore Jimmy Bennett, quando era ancora minorenne.
rose mcgowan agli mtv music awards nel 1998
«Che incubo», mormora quando le chiedo di Asia Argento, che ha reso pubbliche le sue accuse nei confronti di Harvey Weinstein contemporaneamente a McGowan. «Era un’amica, ha fatto molto per il movimento e ha lavorato duramente», continua. «Non credo che la storia di Bennett screditi tutto il lavoro che Asia ha fatto, ma probabilmente lo farà con il passare del tempo. Non so come si riesca a riprendere in mano la propria vita quando ci si trova in una situazione come quella in cui è Asia adesso».
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Quindi quando Rose ha commentato la notizia con un tweet, definendola «straziante», si riferiva al movimento o alla sua ex amica? «Entrambi. Ma soprattutto ero affranta per i suoi figli, che si trovano in una situazione terribile». McGowan sceglie le parole con cura, consapevole che ogni cenno di una possibile conflittualità interna potrebbe minare tutte le conquiste del movimento #MeToo. Lei e Asia Argento si parlano ancora? «No».
Nonostante le voci che la volevano dietro l’invio alla polizia dei messaggi di Argento, in cui quest’ultima confessava di aver avuti rapporti sessuali con un diciassettenne (in California l’età del consenso è 18 anni), è successivamente emerso che la fonte di quegli sms era stata la compagna di McGowan, la modella androgina di Louis Vuitton, Rain Dove Dubilewski.
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Pensa che Asia la ritenga ancora colpevole? «Probabilmente sì. Ma non sono di certo io la persona da incolpare. Asia sta semplicemente attaccando chiunque le capiti a tiro, pur di distogliere l’attenzione da lei».
Con Asia che afferma ora di essere stata lei la vittima di violenze sessuali da parte di Bennett, tutta la situazione «è diventata ancora più torbida», continua McGowan. «E guardi che io non c’entro proprio nulla: è stato il New York Times a far scoppiare lo scandalo e posso certamente capire perché abbiano reputato opportuno farlo».
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McGowan concorda nel dire che il suo movimento «non avrebbe mai dovuto essere trasformato in una contrapposizione tra “noi” e “loro”». Chiunque abusi del proprio potere, uomo o donna che sia, dovrà risponderne di fronte alla legge, in un modo o nell’altro. «Sì, finora le donne sono state viste soprattutto come vittime», continua, «ma conosco una donna che è stata pesantemente molestata da un’altra donna molto famosa. Così come molti uomini che conosco a Los Angeles hanno subito violenze da altri uomini. Bisogna fare piazza pulita».
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La missione di McGowan di fare luce sugli aspetti più oscuri dell’industria cinematografica era iniziata ben prima dello scandalo Weinstein. Nata in Toscana da due membri del movimento religioso Bambini di Dio, ha descritto nella sua autobiografia, Brave, le violenze a cui ha assistito sin da piccola, perpetrate a donne e ragazze da parte dei leader del culto. Per questo, più di tanti altri, McGowan è stata in grado di vedere delle «similitudini tra Hollywood e la setta» di cui faceva parte.
rose mcgowan e l'ex marito davey detail
Era una giovane e disinformata McGowan, convinta che «le regole fossero unicamente a vantaggio di chi sta in alto», e che le cose dovessero essere così. Fino a quando non ne ha avuto abbastanza. Nel 2016 dichiarò con un tweet di essere stata stuprata da un «importante produttore». Lo stesso anno iniziò a scrivere Brave, in cui rivelò il nome di Weinstein e i dettagli della violenza avvenuta durante il Sundance Film Festival nel 1997.
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«Stavo mettendo Hollywood alla berlina», continua McGowan, che successivamente rivelò al New York Times di aver ricevuto 100 mila dollari da Weinstein come risarcimento per la presunta violenza. Probabilmente non è stata una mossa intelligente, ritiene ora, perché quando Weinstein è venuto a conoscenza del libro «ha iniziato a comportarsi in modo ancora più diabolico». Afferma di essere stata vessata e minacciata.
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«La gente a Hollywood mi avvicinava e mi chiedeva: hai scritto niente di nuovo su Weinstein ul timamente? Solo per vedere se mi mettevo a piangere. Mi sono stati anche mandati degli ex agenti del Mossad per mettermi a tacere».
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Un’affermazione, questa, che sembra assurda, ma che in realtà è confermata dall’articolo del New York Times. «Mi erano stati presentati dal mio agente letterario, che collaborava segretamente con Weinstein».
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McGowan ha pubblicato la sua storia nonostante tutto, ma ora confida che quello che è successo quel giorno «è andato ben oltre ciò che avevo scritto nel libro, e che era quello che mi sentivo di condividere». Fa una lunga pausa: «Non “doveva” commettere quelle violenze, “voleva” commetterle.
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E ci sono molte più vittime di quelle che sappiamo; credo siano circa 2 mila donne in totale, perché la prima vittima di cui siamo a conoscenza risale agli anni ‘70».
Crede che Weinstein soffrisse veramente di una dipendenza? «Non una dipendenza dal sesso, ma una dipendenza dallo stupro.
La sua era voglia di esercitare potere e di soddisfare il suo vorace e inesauribile appetito. I suoi assistenti gli davano delle medicine per fargli avere un’erezione di modo che potesse violentare le donne. E per favore, smettiamola di chiamarlo il “divano dei casting”; chiamiamolo con il suo nome: il “divano degli stupri”».
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Weinstein, attualmente libero su cauzione e con l’obbligo di portare il braccialetto elettronico, sta affrontando una serie di processi. McGowan ritiene però che anche gli aiutanti e i sostenitori del produttore dovrebbero essere incriminati per la loro parte nei presunti stupri e abusi.
Il fatto che tanti sapessero e non abbiano fatto niente la fa ancora stare fisicamente male, confida.
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«La stagione dei premi cinematografici mi faceva venire voglia di vomitare. È la fiera dell’ipocrisia. L’unica cosa che volevo fare era gridare: Avete sempre taciuto! Siete delle persone orribili!. Con tutte quelle spille e i lunghi vestiti neri sembrava che la gente volesse ballare sulla tomba del mio stupro, come se stessero alimentando quello che era successo. La presenza di attivisti alle cerimonie era solo un modo per neutralizzare tutto, perché non c’è niente che Hollywood ami di più di farsi una bella pubblicità».
Nonostante il suo ruolo nella caduta di Weinstein, McGowan dice di non essere mai stata invitata ai brunch hollywoodiani della campagna #MeToo, né ai pranzi delle «sopravvissute». «Non che ci sarei andata: non ho alcuna voglia di essere celebrata da gente che non mi piace».
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Questa frase mi porta a chiedermi come abbia fatto McGowan a rimanere così tanto a Hollywood. Mi domando anche se stia silenziosamente cercando di sfasciare il movimento #MeToo per concentrarsi sul #RoseArmy e sulla sua nuova linea di prodotti di bellezza unisex, The Only, che intende lanciare il prossimo anno, ma ribadisce di essere ancora «iscritta al movimento».
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Prima di salutarci torniamo un attimo su quali siano i cambiamenti promossi dal #Me Too che possono essere considerati «stupidità politicamente corrette» e quali invece siano utili. McGowan trova «divertenti» le multe che la Francia ha deciso di imporre a chi lancia fischi di ammirazione verso una donna, e non comprende perché tutti gli assistenti virtuali abbiano nomi di donna: «Per poterli comandare a bacchetta?».
E cosa ne pensa del clamore sulla decisione di chiamare le tempeste e gli uragani con nomi femminili? Qui McGowan si illumina con un grande sorriso: «Ho sempre desiderato un uragano di nome Rose.
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