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    "UNO MI HA DETTO: 'DACCE LA BORSA', LUI HA REAGITO E..." – IL RACCONTO DELLA FIDANZATA DI LUCA SACCHI, IL 24ENNE UCCISO A ROMA DURANTE UNA RAPINA – CACCIA AI DUE AGGRESSORI FUGGITI SU UNA SMART - LE SIMILITUDINI CON L’AGGRESSIONE A MANUEL BORTUZZO E QUELLE CIRCOSTANZE "ANOMALE" CHE LASCIANO AL PM CHE INDAGA PER OMICIDIO VOLONTARIO, IL DUBBIO CHE L’AGGRESSIONE SIA NATA DA ALTRI PRESUPPOSTI AL MOMENTO IGNOTI - BOTTA E RISPOSTA SALVINI- CONTE


     
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    Goffredo Buccini per corriere.it

    LUCA SACCHI LUCA SACCHI

    C’è il sangue sulle strisce e la vita tutta attorno. I carabinieri nella notte hanno coperto le chiazze con lo spray bianco, troppo bianco: e adesso quelle macchie candide disegnano quasi la traiettoria del proiettile che ha ammazzato Luca, dall’incrocio tra via Mommsen e via Bartoloni fino al pub John Cabot, il colpo di calibro grosso gli ha passato la testa ed è finito nella vetrina.

     

    A nemmeno cento metri, ora che è mattina, si sentono le vocine e le risate di cristallo dei bambini dell’asilo: ludoteca e scuola d’infanzia di Roma Capitale, municipio VII. Una maestra fa segno di no col dito, da dietro gli scivoli, per fermare intrusioni e domande. E ha ragione. Morte e vita non andrebbero mischiate, le due facce di Roma dovrebbero restare separate, finché si può. Per dormire tranquilli e svegliarsi illudendosi, nella normalità mattutina d’un quartiere popolare, l’Appio Latino, assai lontano dalle angosciose periferie della capitale, viali alberati e l’immenso polmone verde della Caffarella, giù in fondo alla strada.

    LUCA SACCHI LUCA SACCHI

     

    Tranquillità apparente

    Poi capita che vita e morte si intreccino nonostante noi, in questa Roma che ci raccontano pacificata ma che è piena di droga, rapine e paure non raccontate più. Dunque si può morire sentendosi vivi come non mai, a 24 anni, uscendo dal pub con la fidanzata al braccio: si può morire ammazzati per proteggerla, davanti a cinquanta testimoni con una birra in mano, nel chiacchiericcio indolente di una serata di questo autunno che a Roma sembra ancora estate ed è così dolce da passeggiare, da farci l’amore. Luca Sacchi è morto così, di morte assurda, vittima di una rapina inverosimile.

     

    luca sacchi luca sacchi

    Come se i due mostri che l’hanno ucciso (mostri con accento romanesco, a scanso di impennate xenofobe) fossero usciti fuori con la loro Smart bianca da uno spazio-tempo diverso dal suo, dove il male comanda — e ci vuole un antropologo delle voragini cittadine come Michel Agier per immaginare posti dove esistiamo in contemporanea senza vederci quasi mai — mentre nei palazzi del centro i politici già si scannano: «Roma è una delle città più sicure d’Europa», dice il premier Conte rimbeccando Salvini e difendendo una Raggi molto sottotiro.

     

    Luca fa saltare il tappo di apparente tranquillità di Roma: proprio perché era uno tranquillo, senza fisime, innamorato della sua Anastasiya che ha difeso fino alla fine. Moto e arti marziali le passioni, personal trainer in una palestra di ju jitsu della zona, fisico scolpito: una sicurezza di sé che lo ha indotto a non abbassare la testa, a reagire.

     

    LUCA SACCHI LUCA SACCHI

    Certo, qui ancora se lo ricordano «lo stupro della Caffarella»: i due fidanzatini aggrediti da due romeni vennero a chiedere aiuto proprio in un bar qui sopra, il Simon Café, ma è roba di dieci anni fa. Certo, su una panchina non lontana da qui, al Tuscolano, hanno da poco fatto secco Diabolik, il capo ultrà intrugliato con mala e fascisti. Ma, appunto, sembra una storia tracimata dal mondo di là, quello dei mostri e della Smart Bianca, possiamo fingere (sbagliando) che non ci riguardi.

     

    Luca Sacchi invece ci riguarda come un figlio. Un figliolo di casa, dicono, che ancora viveva coi genitori e il fratello in una stradina della zona, via Fiorini, dove un vicino si commuove, «era buono come il pane, l’ho visto crescere»: uno che sul profilo Facebook teneva post contro le aggressioni ai commercianti, ai controllori dei bus, rilanciava post di Matteo Salvini sulla sicurezza. È probabile che la sua morte diventi sempre più, nelle prossime ore, materia di scontro nella permanente campagna elettorale italiana; non è da escludere che questa giovane vittima assuma la forza simbolica che ebbe Giovanna Reggiani, la cui morte, per mano del romeno Romulus Mailat, fu propellente nella marcia di Gianni Alemanno sul Campidoglio. Perché questo squarcio tra mondi che l’ha risucchiato riapre domande serie su Roma.

     

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    Una signora genovese amica della sua famiglia ha anche qualche risposta, davanti al pronto soccorso dell’ospedale San Giovanni: «Vivo qui vicino, a piazza Re di Roma, da vent’anni e questo non è un posto sicuro, ai miei figli dico sempre di non parlare con nessuno, qui non si può essere onesti». Anche Laura, che abita al civico 93 di via Bartoloni, affaccia in pratica sulla scena del delitto e ha sentito «il botto», ha una storia di mille paure da raccontare: «Lo vede quell’albero? Da lì si arrampicano e ci entrano nel palazzo, siamo bersagliati da furti e rapine. Molti non riescono a comprarsi la droga col reddito di cittadinanza», sussurra velenosa: «L’altro pomeriggio in via Urbana, mia figlia è stata afferrata per lo zainetto da un disperato, lei gli ha dato un pugno ed è scappata... sa, è pianista mia figlia, mica è Rambo».

     

    Il racconto che manca

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    Già, c’è l’altra Roma che acchiappa questa per i piedi, cerca di trascinarla giù, nei luoghi comuni di ghetti come Torpignattara o Tor Bella Monaca, la Roma problematica che ci tramandiamo come un esorcismo (bordi di periferia...). Quella che non raccontiamo, perché ormai viene omessa dalle fonti investigative ai cronisti per non creare «allarme sociale», è una Roma di microcrimini: duecento aggressioni da inizio anno sugli autobus dell’Atac (quelle a cui Luca era così sensibile); una Roma dove aumentano le rapine, in casa, nelle farmacie, nei supermercati, spesso a mano armata. E dove lo spaccio continua a essere centrale su troppe piazze. Di tutto ciò si trova traccia nella relazione annuale del procuratore generale di Corte d’appello ma sempre meno nelle cronache quotidiane. È una Roma nera derubricata a «percezione» e spesso neppure denunciata. Che talvolta si riconcilia con la Roma pacificata, ma solo sui muri e nella fantasia innamorata di qualche writer del quartiere: sei bella come ‘na prigione che brucia... Sarebbe piaciuta anche a Luca per la sua Anastasiya.

     

     

    ANASTASIYA KYLEMNYK, LA FIDANZATA DI LUCA SACCHI

    Fulvio Fiano per corriere.it

     

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    Come Manuel Bortuzzo. Allora gli spari alla cieca per vendicare una rissa colpirono l’incolpevole 19enne e sfiorarono la sua ragazza, stavolta la volontà di uccidere un ragazzo di 24 anni che aveva difeso la fidanzata e impedito il furto di qualche spicciolo. Il nuotatore vivo (ma paralizzato) per una questione di pochi centimetri, Luca Sacchi morto in strada con un colpo al capo.

     

    Anastasiya Kylemnyk, la sua fidanzata da tre anni, otto mesi più grande di lui, ucraina, in Italia dal 2003, ha ricordi inevitabilmente frammentari di quei momenti. I carabinieri ne raccolgono la testimonianza in lacrime. In ospedale le sue urla disperate si odono lontane quando apprende che il suo ragazzo non ce l’ha fatta: «Faccio la baby sitter, dopo il lavoro avevo appuntamento con Luca e siamo andati al pub dove ci ritroviamo anche con altri amici. Eravamo a piedi. Una serata tranquilla come tante, non è successo niente di particolare, nessuna rissa, tensione, niente. Quando siamo usciti in strada mi sono sentita strattonare la borsa di colpo da una delle bretelle, mi sono girata e un ragazzo bianco con capelli corti ha detto “dacce la borsa”.

     

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    Aveva accento romano ma non so descriverlo meglio. Non ho fatto in tempo a capire che cosa accadesse che mi ha colpito con una mazza, un manganello, qualcosa (un unico colpo, nessuna ferita, ndr). Luca allora gli ha dato un pugno e l’ altro ragazzo ha sparato». Impossibile avere qualche dettaglio in più dalla ragazza in forte stato di choc, la voce tremante, il volto sbiancato dalla paura. Loro malgrado i carabinieri sono costretti a insistere per avere quello spunto in più che può essere decisivo nelle indagini ma Anastasiya crolla: «È durato pochi attimi, ho sentito lo sparo, ho visto Luca a terra, poi sono fuggiti in una Smart. Non ricordo più niente».

     

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    La ricostruzione fatta dalla 25enne è ovviamente da verificare. In assoluta buona fede può aver sovrapposto sensazioni e circostanze che in ogni caso appaiono anomale per una «banale» rapina di strada e lasciano al pm Nadia Plastina, che indaga per omicidio volontario, il dubbio che l’aggressione sia nata da altri presupposti al momento ignoti. Intanto il luogo: un angolo di strada aperto nella visuale e con decine di testimoni possibili davanti al pub quando non era ancora mezzanotte.

     

    Poi la vittima della rapina, una ragazza (peraltro accompagnata), dalla quale non er presumibile ricavare un bottino ricco. E la Smart lasciata lì in doppia fila, che anche con una ripartenza veloce si sarebbe comunque notata. Insomma, non uno scippo in scooter del tipo «uno strappo e via». Quel colpo preciso, infine, esploso con freddezza alla nuca, sembra stonare con un bandito improvvisato. «Un delitto inspiegabile», lo definisce un inquirente.

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    Roma violenta, i precedenti

    Nessuna ombra c’è nella vita di Luca e Anastasiya, lui amante delle moto, lei dei cani, sempre sorridente e spensierata nelle foto sui social. L’ipotesi più probabile resta così quella di una coppia di piccoli delinquenti in cerca di soldi per altra droga e pronti a sparare per un niente. Luca come Manuel, vivere o morire a Roma, a volte, è una casuale questione di centimetri..

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