Adelaide Pierucci per “il Messaggero”
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Diventa definitiva la condanna a ventidue anni. E si aggiunge il rischio di una nuovo pronunciamento sfavorevole. La Corte di Cassazione non mette la parola fine al caso giudiziario di Valentino Talluto, il trentenne romano accusato di aver contagiato con l'Hiv in dieci anni 29 partner e indirettamente i nuovi compagni di tre di loro.
I giudici, ieri, hanno non solo confermato la pena, ma accogliendo le richieste del pg e delle parti civili, disposto che vengano rivalutati i quattro casi in cui l'imputato era stato assolto dall'accusa di aver esposto altrettante partner alla trasmissione del virus. Talluto, il ragioniere che abbindolava giovani in chat e poi regalava rose e pasticcini, dovrà, quindi, tornare in aula per difendersi dall'accusa di tentate lesioni su quattro partener, solo per caso non infettate.
«LESIONI GRAVISSIME»
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Mentre per il fronte delle trentadue lesioni gravissime, in cui il contagio è stato ritenuto accertato e volontario, la condanna ormai è stata cristallizzata. Un sollievo per le vittime costrette a cure antivirali a vita e in lacrime alla lettura della sentenza. «Volevamo solo scongiurare che accadesse ad altre innamorate. Ci siamo riuscite», è lo sfogo comune. «Ha speculato sui sentimenti. E non ha mai dato segni di pentimento». La terza Corte d'Assise di appello, nel dicembre 2018, aveva spiegato così la decisione di non concedere sconti a Valentino Talluto.
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La riduzione della condanna dai 24 del primo grado ai 22 anni del secondo era stata giustificata solo dal mancato riconoscimento delle tentate lesioni sulle quattro partner non contagiate, che ora appunto tornano sotto valutazione. Nelle stesse motivazioni era stato anche insinuato che senza un potenziale vuoto normativo forse per l'imputato si sarebbe potuto profilare non il reato di lesioni gravissime, ma il più grave come sollecitato dal pg: l'epidemia dolosa.
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«L'Hiv infatti», avevano spiegato «non viene considerato un morbo a sviluppo rapido, come previsto dalla norma». A Talluto in compenso non erano state riconosciute le attenuanti generiche «perché» a parere della Corte, ora confermato anche dai sommi giudici, «pur consapevole della gravità del male e del pericolo che derivava, tacendo sulla sua sieropositività, ha reiteratamente esposto al rischio di contagio un numero impressionante di ragazze, incurante delle conseguenze, protervo nel mendacio continuo».
Per l'avvocato Irma Conti, che ha assistito e confortato per anni 16 vittime spingendo anche per la riapertura del caso per le quattro miracolate non contagiate (come si definiscono, ndr), ora «le ragazze possono vedere il mondo con più fiducia».
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