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    DAGO GAMES BY FEDERICO ERCOLE - “’HELLBLADE SENUA’S SACRIFICE’ NON È UN GIOCO, MA ESPERIENZA DOLOROSA E ANGOSCIANTE, È LA NEGAZIONE DEL CONCETTO DI DIVERTIMENTO - TUTTAVIA DA QUESTO CAPOVOLGIMENTO IL VIDEOGAME CRESCE A DISMISURA, NON VERSO LA LUCE MA VERSO NERE PROFONDITÀ, PENETRANDO NELLE REGIONI PIÙ OSCURE DELL’ANIMO UMANO -QUESTA NERA AVVENTURA RISULTA STRAORDINARIA E APPAGANTE PER LA SUA EPICA DELLA DISPERAZIONE” - VIDEO


     
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    Federico Ercole per Dagospia

     

    HELLBLADE SENUA S SACRIFICE HELLBLADE SENUA S SACRIFICE

    Quando il videogioco non è un gioco, ma esperienza dolorosa e angosciante, è la negazione del concetto dal quale è scaturita quest’arte novella: il divertimento. Tuttavia da questo capovolgimento il videogame inteso come forma d’espressione cresce a dismisura, non verso la luce ma verso nere profondità, penetrando nelle regioni più oscure dell’animo umano, ribadendo le sue relativamente infinite possibilità diegetiche e poetiche.

     

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    E’ arrivato finalmente su supporto fisico, il prima solo digitale (per PS4, XBox One, PC) Hellblade Senua’s Sacrifice, doloroso capolavoro di Ninja Theory sui disturbi mentali, epopea psicotica di una donna e le sue visioni oltre la realtà, che ci fa viaggiare in una dimensione della follia che assume la forma tetra e algida dei luoghi della mitologia norrena.

     

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    Realizzato con il supporto e la consulenza di psichiatri e sofferenti di patologie mentali, il viaggio di Senua verso l’inferno nordico all’ombra del Valhalla è un’epopea d’amore e morte alla scoperta di se stessa, tra gli orrori e la rara bellezza della sua mente afflitta. Non vi troverete consolazione ludica perché l’opera di Ninja Theory alimenta i pensieri invece di scacciarli, ma ansia e sofferenza; eppure questa nera avventura numerica della mente in balia del caos risulta straordinaria e appagante per la sua epica della disperazione e la sua poesia della sofferenza, per lo splendore agghiacciante e disumano dei suoi scenari e lo struggimento della sua protagonista, alla quale è inevitabile legarsi con una forte connessione empatica.

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    LA PAURA DELLA MORTE

    Hellblade è strutturato secondo le regole del gioco d’avventura e azione, quindi esploriamo, risolviamo enigmi e lottiamo, sebbene tutto ciò assuma una forma diversa e alterata. Non c’è nessun tutorial a introdurci con gentilezza nel cuore dell’esperienza, nessuna linea della vita per ricordarci che siamo feriti. 

     

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    Ci muoviamo lenti attraverso selve infernali dai cui alberi pendono cadaveri, per villaggi arsi al suolo, per spiagge solcate da mari grigi e crudeli, per melme verdastre delle quali ci illudiamo di percepire il fetore,  perché correre risulta innaturale, e si procede veloci solo quando si fugge da qualcosa di tremendo e insondabile.

     

    I combattimenti, non troppo frequenti, restituiscono un senso di dolore e pesantezza, di gravità e fatica, tanto da alimentare un sentimento di paura e orrore. Gli enigmi sono ispirati e vagamente ripetitivi, laddove la ripetizione è da considerarsi quella dell’ossessione.  Ogni dinamica ludica è funzionale alla malattia, al buio della mente.

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    Ad esaltare l’ansia dell’esperienza c’è una spada di Damocle emotiva che preme sul collo del giocatore: se incorreremo troppo spesso nel Game Over il marciume che striscia su per le membra di Senua potrà condurci verso una morte permanente, obbligandoci a ricominciare il gioco.

     

    Tanti giocatori si lamentarono, quando il videogame uscì, di questa perentoria opzione, ma si tratta di una scelta d’autore, che potenzia oltre modo l’identificazione con il personaggio e il suo terrore. Vi consiglio tuttavia di non andare a leggere in rete quante volte bisogna fallire prima di perdere i vostri progressi, perché potreste scoprire qualcosa che in parte vi quieterà e in parte vi rovinerà l’esperienza di gioco. Lasciatevi ipnotizzare dalla crudeltà di Hellblade, dalla sua forza barbarica, dal suo magnifico orrore e mistero. Abbiate paura, insieme a Senua.

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    PANORAMI SONORI

    Hellblade non è solo visione interattiva, ma ascolto, perché il suono è fondamentale quanto l’immagine e talvolta può capitare che prenda il sopravvento. Ninja Theory ha registrato tutte le tracce sonore della sua opera folle con il metodo detto “binaurale” che consiste in una riproduzione tridimensionale di rumori e voci. Bisogna quindi giocare Hellblade con gli auricolari per calarsi appieno in questa dimensione polifonica così realista che illude l’orecchio assai più di quanto l’immagine possa ingannare lo sguardo.

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    Saremo avvolti dalle molteplici voci che mai si tacciono della mente di Senua, percepiremo un temporale avvicinarsi rombando, trasaliremo all’incedere di sinistri passi alle nostre spalle, saremo straziati da cacofonie  di pianti e urla agonizzanti. Nessun gioco prima di Senua possiede una dimensione sonora così efficace e totalizzante, tanto che Hellblade è due videogame in uno, quello dello sguardo e quello dell’orecchio.

     

    A LEZIONE DI MITO

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    Consigliato ad un pubblico maggiorenne, ma sarebbe da fare vivere a tanti liceali per il suo valore artistico e per le sue abissali speculazioni sulla psiche umana, Hellblade, così come il recente God of War, è inoltre uno strumento didattico per conoscere gli aspetti più veri e crudi, meno “marveliani”, della mitologia norrena di Odino e del suo micidiale pantheon di assassini. A tratti sarà possibile ascoltare lunghe e tetre storie estrapolate dall’Edda Antica e da quella di Snorri, i manoscritti fondamentali sul mito del nord, e vivere persino qualche suggestione wagneriana, ricordandoci del suo Siegfried e della valchiria Brunilde, le cui vicende il maestro rielaborò nel L’Anello del Nibelungo.

     

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    NON TEMERE IL LATO OSCURO

    Ci sarà chi, legittimamente, si chiede perché precipitarsi in questo incubo numerico invece che cercare il sollievo dal presente con videogame più distensivi. Non temiate, o almeno solo un po’, perché oltre la gravità e il dolore, Hellblade Senua’s Sacrifice vi lascerà qualcosa, non scivolerà via dai vostri cuori come polvere di pixel da una console dimenticata e, sebbene intrattenga una costante dialettica con la morte e la malattia, si tratta soprattutto un gioco sulla vita e sulla speranza, terrificante come i tre colpi di maglio della sesta sinfonia d Gustav Mahler e consolante come l’adagio della sua nona. Hellblade si conclude con malinconia e esaltazione, consapevoli di avere vissuto un’esperienza altissima e grave, ma innegabilmente epica e “vera”. L’arte talvolta può fare male, ma infine ci solleva, rendendoci migliori. 

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