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    DAGO IN THE SKY – MALCOM PAGANI : “PROPRIO NELL’EPOCA DELL’APPARENTE TRAMONTO DELLA FRUIZIONE CINEMATOGRAFICA, ROBERTO D’AGOSTINO, DEMONIACO SETTANTENNE CHE HA STRACCIATO I PATTI CON L’ANAGRAFE, HA GIRATO IL SUO FILM PIÙ BELLO’’ – STASERA SU SKY ARTE, ALLE 21.15, ‘’LO SCANDALO FATTO AD ARTE’’ CON PIERLUIGI PANZA, FRANCESCO BONAMI, ALESSANDRA MAMMÌ - VIDEO


     
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    DAGO IN THE SKY - LO SCANDALO FATTO AD ARTE.mp4

     

    1. ARTE E SCANDALO

    Da ''Il Messaggero''

     

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    La puntata di questa sera di Dago in The Sky si intitola ‘’Lo scandalo fatto ad arte’’ con Pierluigi Panza, Francesco Bonami, Alessandra Mammì. L' arte ha sempre fatto scandalo. L' ha fatto Caravaggio, che ritraeva come sante le prostitute delle osterie; Michelangelo, che usava il non-finito per spezzare le regole del classicismo rinascimentale.

    Gustave Courbet che nel suo L' Origine del mondo dipinge un pube in primo piano, mostrato in maniera cruda e reale. Nell' arte contemporanea, invece, la provocazione è diventata solo show?

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    Tra i pochi programmi «fuori canone», Dago in the Sky supera il concetto della televisione come totem e focolare domestico e diventa un esperimento di «smaterializzazione» ibridandosi con nuovi mezzi di comunicazione, con internet e i nuovi media. L' idea è quella di portare la Tv al livello di intrattenimento dello smartphone in termini di piacere estetico e sapere interdisciplinare, superando l' analogico novecentesco.

     

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    Per farlo gli autori hanno preso in prestito la frase del poeta beat statunitense John Giorno, «You got to burn to shine», come loro motto. Questa è la condizione post-televisiva: il passaggio dall' analogico al digitale, dal mondo come rappresentazione alla rappresentazione come mondo; un magma di incertezza, disordine, mescolanza e tramonto delle gerarchie estetiche. Il futuro è nostro amico, anche quando è preoccupante e antipatico. E Dago in the Sky si occupa di futuro.

    DAGO IN THE SKY - SIMPATIA PER IL DIAVOLO PROMO

     

    2. IL SUO FILM PIU’ BELLO

    Malcom Pagani per Vanity Fair

     

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    L’ultimo prezioso tentativo di stupire occhi assuefatti che tutto hanno visto e ogni cosa credono di aver capito si intitola Dago in the Sky. È giunto alla quarta stagione, va in onda su Sky Arte e cova in sé qualcosa di artigianale e modernissimo al tempo stesso. Immagine e pensiero, ragione e sentimento, azzardo e scommessa ragionata in un viaggio che si sottrae alle regole, ad ogni regola, per provare a riscrivere i canoni di un mezzo, la televisione, irrimediabilmente contaminato dalla rivoluzione digitale.

     

    alessandra mammi alessandra mammi

    Proprio nell’epoca dell’apparente tramonto della fruizione cinematografica, Roberto D’Agostino, demoniaco settantenne che ha stracciato i patti con l’anagrafe e salta liberamente da più un quarantennio tra le fiamme della contemporaneità tentando di indirizzare la materia magmatica nei binari di una comprensione non sempre a buon mercato, ha girato il suo film più bello.

     

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    Rivoluzionaria era stato, all’alba del nuovo millennio, la sua invenzione più nota, Dagospia, megafono del presente con infiniti tentativi di imitazione. Rivoluzionario è questo Dago in the Sky (coautrice Anna Cerofolini): curatissimo manufatto senza datazione certa, con molti padri nobili e nessun padrino, capace di volare alto tra videogiochi e banalità del male, lezione storiografica e selfie, disegno di Dorè e graffito di Bansky, sempre con la stessa grazia narrativa che avvince proprio perché non sale in cattedra e spiega, approfondisce e sorprende dimenticando l’empito pedagogico a vantaggio dell’impeto, dell’urgenza, della necessità di tendere un filo tra lo smartphone e la Gioconda, lo spot e l’origine del mondo, Guy Debord e le sorelle Kardashian, l’identità e l’identificazione ai tempi dell’unica religione accettata da Caltanissetta a Kuala Lumpur: il narcisismo.

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    Francesco Bonami Francesco Bonami

     

    D’Agostino ne fa a meno per presentarci il nostro. Allo specchio appare un’immagine deforme. Ma è solo nella confusione creativa che l’opera d’arte trova pace, riparo, luogo adatto per evadere dal prevedibile e farsi novità, polo d’attrazione, tempo da spendere e da concedere, perdendosi nella bellezza.

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