Massimo Finzi per Dagospia
Tutta la verità e null’altro che la verità. Questo deve riferire sempre il medico al proprio paziente? La legge si esprime in senso affermativo ma mentre è sempre buona pratica informare il paziente sulla sua condizione di salute, sulla utilità di talune indagini e soprattutto sugli obiettivi che si vogliono raggiungere con la terapia, i dubbi sorgono quando si è costretti a comunicare una notizia infausta.
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In questo caso va comunicata tutta la verità oppure bisogna lasciare aperta una speranza anche se questa contraddice tutta la letteratura scientifica sull’argomento? Per entrare nel vivo della discussione e non rimanere nel campo delle teorie come ci si deve comportare di fronte ad una persona per la quale la scienza medica, sulla base di efficaci strumenti di valutazione, ha decretato una spettanza di vita di pochi mesi?
Massimo FINZI
Proviamo ad aprire vari scenari: 1) Paziente assolutamente razionale che potrebbe dispiacersi qualora non riuscisse a sistemare in tempo la sua situazione patrimoniale famigliare. 2) Paziente che finora si è comportato come una formica, rinunciando a tutto. Potrebbe essere l’ultima occasione per godere di qualche soddisfazione. 3) Paziente depresso: la notizia lo potrebbe spingere al suicidio. 4) Paziente ansioso: vivrebbe gli ultimi mesi della sua vita con lo stesso animo del condannato nel braccio della morte. 5) Paziente religioso: è giusto contrapporre la scienza alla speranza di un miracolo? E tanti altri casi.
MEDICO PAZIENTE
E allora cosa fare? Nella lettura dell’Antico Testamento ho trovato un argomento che mi ha incuriosito, cosa insolita per un laico come me: quando si parla dei doveri dei genitori nel testo ricorre un versetto sempre uguale “….e insegnerai ai tuoi figli..” Questo testo si ripete sia che si tratti di trasmettere cultura sia di insegnare un mestiere ma poi quando si tratta della testimonianza del monoteismo il testo stranamente parla al singolare “...e insegnerai a tuo figlio...”
Strano: cultura, mestieri a tutti i figli e la concezione del monoteismo, che costituisce l’essenza stessa dell’Ebraismo, ad uno solo dei figli. E a quale? Il primogenito maschio? Il più intelligente? Il più devoto? La antica lingua ebraica è una lingua consonantica, non ci sono nè vocali nè punteggiatura e lo stesso vocabolo più avere più significati quindi spesso tradurre significa tradire il testo.
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Cosa voleva dire “ ….e insegnerai a tuo figlio….” ? Voleva dire che il messaggio va trasmesso ad uno per volta cioè che va porto singolarmente. Proprio perché è importante esso deve essere spiegato ad un figlio per volta affinchè ciascun individuo, a seconda della propria intelligenza e della propria sensibilità possa comprenderlo a fondo.
Io credo che il medico debba riferirsi a questa antica saggezza quando deve riferire una notizia infausta: solo lui è in possesso di tutte le informazioni non solo mediche ma anche di ordine psicologiche e famigliari ed è quindi in grado di valutare singolarmente l’impatto della notizia sulle condizioni del paziente.
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Una responsabilità enorme ma ineludibile che potrebbe portarlo anche ad un mancato rispetto della legge ma, come recita la sentenza del Tribunale di Norimberga:”….quando le leggi scritte dagli uomini contraddicono quelle morali, sia ha il diritto/dovere di infrangerle….” Il tutto nell’ottica della tutela del paziente la cui salute non va considerata solo come assenza di malattia ma come benessere fisico, psichico e sociale (OMS).