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    DAGO SHOPPING – ‘’IL CONSUMISMO È MORTO CON L’AVVENTO DI INTERNET. ANZI SI È TRASFERITO NELLO SMARTPHONE - IL FETICCIO NON È PIÙ LA MERCE, MA LA PROPRIA IMMAGINE, CHE È IL NUOVO VERO STATUS SYMBOL GRATIFICATO DA FOLLOWERS E LIKE. E LA NAVIGAZIONE È MOLTO PIÙ INTERESSANTE E DIVERTENTE DELLA CONVERSAZIONE’’


     
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    Paola Zanuttini per Il Venerdì di Repubblica - http://www.repubblica.it/venerdi/2017/12/05/news/shopping_addio_siamo_in_trappola_dentro_la_rete-183107677/

     

     

    CONSUMISMO CONSUMISMO

    È piuttosto complicato intervistare di persona, invece che al telefono, Roberto D’Agostino. Perché è sempre attaccato al suo smartphone, l’ideologo dell’edonismo reaganiano. Per chi l’ha visto e per chi non c’era, edonismo reaganiano era la formula cazzarona scaturita nel remoto 1985 dal programma di Arbore Quelli della notte, sdoganata e perfino riverita da pensatori come Vacca, Vattimo, Veca (strano, tutti intellettuali con la V).

     

    FOTO - BRUNO OLIVIERO - FOTO - BRUNO OLIVIERO -

    Non è che Dago parli al telefono mentre si presta all’intervista, ma smanetta, e con il pollice, come i nativi digitali: Instagram, Facebook, Twitter e così via. Il comportamento è un corollario della teoria perché, per questo consumista esemplare e d’antan, il consumismo è morto con l’avvento di Internet. «Anzi si è trasferito qui dentro» dice indicando lo schermo di quello che a tutti gli effetti può definirsi una protesi: «Il feticcio non è più la merce, ma il numero di followers e di like. Io investo il mio tempo a costruire la mia immagine, che è il nuovo vero status symbol. Pensiamo al successo del selfie: prima come si faceva? Chiedevi a uno di scattarti una foto, oggi invece sei tu che te la fai, la correggi e la posti, controllando tutto il processo».

     

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    Insomma, il luogo della gratificazione è la rete. E la navigazione è molto più interessante e divertente della conversazione. «Quindi è comprensibilissimo che io a una cena segua più quello che passa sul mio cellulare di quello che dicono i convitati». Si potrebbe pensare che Dago usi la prima persona in forma retorica, parli di uno per riferirsi a tutti. Macché: quando si batte il torace è evidente che il convitato perso nella rete è proprio lui.

     

    dago e arbore fanno un selfie dago e arbore fanno un selfie

    Quindi: gli oggetti avrebbero ceduto il campo ad altri trofei immateriali. Però, entrando a casa D’Agostino, uno stupefacente e affollatissimo bazar di carabattole ultrapop e pezzi d’arte, pare che la merce, le cose, gli oggetti dotati di superficie e spessore, difendano le loro posizioni con tenacia e fierezza. «Ma io sono un collezionista, come Renzo Arbore. Andiamo catalogati più come feticisti che come consumisti».

     

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    Questo dettaglio e il fatto di andare incontro ai settant’anni permette a Dago di mantenere i piedi comodamente in due staffe, in due epoche, in due o anche più opinioni. Per esempio,  sembra approvare incondizionatamente il sobrio futuro senza merci o quasi che l’umanità sta per incontrare, ma tesse un elogio altrettanto entusiasta del commercio online: «Perché devo andare al supermercato, caricarmi le borse, trafficare in cucina, quando con un clic posso farmi portare a casa quello che mi piace in cinque minuti? Perché devo prendere la macchina, posteggiare, parlare con un commesso antipatico che non ha il disco o il maglione che cerco quando invece posso ordinarlo online? Anche quel piatto di Basquiat l’ho comprato su internet». (Il piatto è poggiato su un fantastico tavolo che si illumina).

    la lezione di dago alla sapienza 6 la lezione di dago alla sapienza 6

     

    Benissimo, anzi malissimo per i negozianti, ma il pacco che consegna il corriere contiene roba vera, concreta, da consumare, altro che immateriale. Deve essere una fase di contraddittorio passaggio verso il luminoso futuro di cui sopra. Comunque è vero che il numero di oggetti da possedere si sta contraendo.

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    «Oggi l’aspirazione è quella di buttare più che di comprare. Io vado da Zara e vedo questo assortimento vertiginoso, l’offerta cambia continuamente: è questa la chiave del suo successo. La parola magica è NUOVO. Poi qualcuno può obiettare che la stoffa è così così, la qualità pure, per non dire della durata. Ma non deve durare! E i giovani nerd? Quelli non possiedono più niente, basta pensare al carsharing, i giornalisti di Dagospia hanno “sto sharing di tutto”: macchina, motorino, bicicletta. L’auto di lusso non è più uno status symbol, come quando ero ragazzo. Ma molte cose sono cambiate da allora, a partire dal sesso, che alla nostra generazione faceva molto più effetto che ai giovani di oggi». 

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    Dei nerd fatica a digerire la totale assenza di quella cultura media che permetteva alle generazioni precedenti di cavarsela anche senza Internet: «Stanno sempre a chiedere: “Chi è? Chi è?”. Non mi puoi chiedere chi è Cher». Ma quel tipo di cultura non è più un prodotto che si vende e si compra, si consuma gratuitamente, solo quando serve, sulla rete.

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    E sull’informazione, il fondatore di Dagospia ha una dritta da passare agli editori. «Se Zuckerberg non ha voluto mettere il pollice verso su Facebook ha le sue ragioni. Il pubblico dei social vuole i like, il consenso, non i dislike, la critica; e anche al lettore del giornale che paga un euro e cinquanta non fa piacere essere definito da qualche solone un cretino perché guarda il GF Vip (anche qui si batte il torace, per chiarire che lui lo guarda). Trent’anni fa succedeva con chi andava allo stadio e, ancora prima, con chi pensava che la tv a colori fosse una bella novità».

     

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    Tornando a consumi più sostanziosi: che previsioni sui russi e gli arabi che comprano ancora a man bassa? «Finiranno anche loro. Quanto è durato da noi il vero consumismo? I tre, quattro decenni del dopoguerra, il passaggio dalla miseria nera al benessere». E la moda? «È ferma. Prada e Armani ormai sono per le vecchiette, solo Gucci ha interpretato le tendenze delle giovani generazioni che possono spendere. Ma per un’operazione del genere devi avere tanti soldi e tanti negozi in tutti i continenti. Chiara Ferragni, l’influencer di moda tra le più importanti al mondo, ha capito tutto: ha dieci milioni di followers e non rilascia interviste. E perché dovrebbe, magari con un giornalista che la considera una scema o un’aliena?».

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