Federico Ercole per Dagospia
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Rari sono i villaggi e le città virtuali la cui vita è così animata di esistenze come quelli di Eastward, e non importa che i loro abitanti siano composti di pochi ma bellissimi pixel, perché essi risultano più veri dei tanti monotoni, superflui e solo scenografici “fantasmi” in alta definizione che si trascinano spenti e indifferenti per le metropoli di videogiochi milionari.
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Si tratta di una piccola produzione cinese uscita per Nintendo Switch, Microsoft Windows e MacOS, un’opera che parrebbe alimentata, come tante altre, dalle leggende di Zelda degli inizi, ma dove sono variati con un’originalità persino trasgressiva i canoni ludici, estetici e narrativi della fonte d’ispirazione; così che Eastward, malgrado le corrispondenze, diviene altro, mantiene una sua unicità e non solo per la sua ambientazione e narrazione fantascientifica che può ricordare quella dei territori post apocalittici (ha notato a ragione Giulia Martino di Everyeye) percorsi durante il pellegrinaggio di Tibor McMasters in Deus irae di Philip K. Dick e Roger Zelazny o quella delle lande mutanti di Den di Richard Corben.
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In Eastward si incontra una popolazione umana e meccanica che non è mai inerte, simulazioni di persone che si esprimono attraverso una dialettica romanzesca, animando gli spazi che abitano di una parvenza di vero, risultando possibili anche quando trascorriamo oltre la loro vita digitale. Bisognerebbe comporre un diario segnandovi i nomi e le storie di tutti gli abitanti di Eastward, ma forse non è necessario perché risulta inevitabile rammentarseli, talvolta con delizia altre con la mestizia che deriva dal loro infausto destino.
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LA STORIA DI UN UOMO E UNA BAMBINA
Ci muoviamo nei corpi di Sam e di John, una bambina misteriosa quanto curiosa e il barbuto minatore che l’ha trovata nel dedalo di cave dove lavora. Viviamo in un villaggio sotterraneo laddove è alimentato il mito ancestrale che la superficie sia luogo di morte e orrore, cosicché come in The Village di Shyamalan nessuno violi i confini per viaggiare verso l’esterno, salvo essere condannati, come succederà alla coppia di protagonisti.
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Viaggiare oltre il buio e le luci artificiali per tornare a vedere il cielo è un momento ludico ed emozionale davvero potente, soprattutto quando scopriremo l’amenità bucolica di un paesello agreste e conosceremo i suoi deliziosi abitanti. Ma, oltre lo splendore di campi e foreste dopo le tetre miniere, comprendiamo nel più tragico e definitivo dei modi che non ha torto chi teme gli orrori della superficie, esperendo momenti di “gioco” strazianti.
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Così proseguiamo il viaggio, allontanandoci per sempre da un possibile amore e rinunciando ad una dolce e idilliaca vita contadina, raggiungendo una popolosa e umida metropoli dall’orientale fascino architettonico, realizzando che sebbene il protagonista non si esprima a parole come Link, nostri sono i suoi pensieri, si instaura tra uomo e bambina un rapporto non dissimile da quello che c’è tra Joel e Ellie di The Last of Us, altro videogame che ha ispirato Eastward.
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Ci vogliono più di venti ore per giungere alla conclusione dell’opera di Pixpil, ed è con gioia e tristezza che lo completiamo, sentendo un’immediata nostalgia per il suo mondo e i suoi abitanti. Restano invece dimenticabili le musiche, salvo qualche raro tema più ispirato, unico punto debole di Eastward. Va segnalato che Eastward non è tradotto in Italiano ma solo in inglese.
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ESPLORAZIONE E NARRAZIONE
Rappresentato con l’illusoria ed efficace tridimensionalità della prospettiva isometrica, Eastward è ritmato in maniera magistrale, suddiviso tra esplorazione e narrazione, azione e risoluzioni di enigmi, quiete e turbamento, quotidianità e straordinario, comicità e melodramma.
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Viaggiando per i ruderi inselvatichiti, talvolta intossicati, della civiltà estinta dobbiamo inevitabilmente combattere, trascorrendo da John a Sam con la pressione di un tasto. John è armato inizialmente solo di una padella, che resta comunque fondamentale, a cui si aggiungeranno le bombe, una pistola e un lanciafiamme; invece Sam fa uso di poteri tecno-magici, raggi energizzanti curativi, paralizzanti e protettivi.
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Dobbiamo cambiare sovente il protagonista attivo anche per risolvere i numerosi enigmi ambientali proposti, elementari senza dubbio ma dai divertenti e immediati metodi di risoluzione che non rallentano la progressione del gioco
Eastward non è solo azione e riflessione enigmistica, oltre i suoi lunghi segmenti narrativi ci sono tanti momenti di gioco durante i quali non facciamo altro che svolgere piccole mansioni quotidiane, aiutando ad esempio gli attori di una compagnia teatrale a non essere sfrattati o cucinando pietanze.
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Inoltre, altro elemento d’eccezione di Eastward, c’è un videogame nel videogame, ovvero Earthborn, un vero e proprio gioco di ruolo con combattimenti a turni ispirato ai Dragon Quest più vetusti, accessibile da vari terminali. Earthborn ha la sua trama, i suoi personaggi da potenziare ed equipaggiare, il suo bestiario, le sue mitologie che fanno parte della cultura popolare del “vero” mondo di Eastward.
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Tra i giochi più ispirati e sorprendenti degli ultimi anni, Eastward è un’altra di quelle opere che ribadisce quanto l’alta tecnologia sia spesso superflua nei videogiochi quando ci sono arte e storie ad alimentarne la luce ludica e narrativa. Precipitiamo in questo videogame sviluppato da un minuscolo team di Shangai con amore e passione, convinti del suo mondo, partecipi della sua grande storia intimista e corale, commossi e stupiti.
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