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    DAGOGAMES BY FEDERICO ERCOLE - "STRAY" È UN'AVVENTURA APOCALITTICA CHE CI PONE TRA I PELI ROSSASTRI DI UN GATTO IN UNA METROPOLI DECADUTA DOVE GLI UMANI SONO ESTINTI - È UN VIDEOGIOCO CHE MERITA DI ESSERE VISSUTO, NON SOLO DAGLI APPASSIONATI DI GATTI, UNA NOVELLA FANTASCIENTIFICA RIUSCITA E A TRATTI MOLTO ISPIRATA. MA NON ASPETTATEVI UNA SIMULAZIONE FELINA O IL TENTATIVO DI REALIZZARNE UNA IN QUANTO... - VIDEO


     
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    Federico Ercole per Dagospia

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    “Il gatto non offre servigi. Il gatto offre se stesso”, scrisse William S. Burroughs ne Il Gatto in Noi, titolo tra i suoi meno letti ma non per questo meno illuminanti proprio per il suo antropocentrismo capovolto, per il  suo “felinizzare” invece l’umano.

     

    Continua poi l’autore de Il Pasto Nudo: “Naturalmente vuole cura e un tetto. Non si compra l’amore con niente. Come tutte le creature, pure i gatti sono pratici.”

     

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    Questo vale quindi anche per quelli elettronici, simulacri e simulazioni, come il gatto che controlliamo in Stray, che si può tradurre come “randagio”, un videogioco di Blue Twelve Studio prodotto e distribuito da Annapurna Interactive per PlayStation 4 e 5, PC.

     

    Si tratta del videogame-fenomeno dell’estate, ed era inevitabile che lo diventasse, non solo per un quasi universale amore per i piccoli felini che rivaleggia con quello cinofilo se non lo supera addirittura, d’altronde i gatti al limite ti graffiano e non ti sbranano come quel mostruoso pitbull del quale nonna Liliana diceva che “c’aveva proprio gli occhi del cristiano”.

     

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    Un amore che coinvolse Edgar Allan Poe, Charles Baudelaire (“come le sfingi rivelano sogni infiniti”), o Howard Phillips Lovecraft e continua ad alimentare milioni e milioni di “like” sui social media quando si pubblicano buffe o tenere foto di gatte, gatti e gattini.

     

    AVVENTURA FANTA-FELINA

    L’inizio di Stray è di una bellezza piovosa così tranquillante, quasi soporifera, suggerisce ricordi e suggestioni di liquidi e vegetali profumi.  Vediamo una famiglia di gatti al riparo di un vano artificiale, tra le mura metalliche, ma ricoperte di grondante vegetazione, di una città decaduta.

     

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    Non facciamo altro che muovere il nostro gatto per quello spazio non troppo angusto, miagolare con altri gatti, giocare con loro, strofinarglisi contro, mentre fuori continua a piovere. Potremmo prolungare questa scena nel tentativo di eternarla, vorremmo, soprattutto durante un’estate così torrida e avara d’acqua, allungando così a dismisura il gioco o negandolo non cominciando mai, pascendoci nella sua dimensione bagnata e felina (l’unica poi davvero felina del gioco).

     

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    Invece, curiosi, dimentichi o incuranti del vecchio adagio, andiamo avanti, fino a quando il nostro gatto si troverà separato per forza dai suoi compagni, cominciando così la sua strana, affascinante avventura per i meandri di una metropoli affogata nel buio, nella rovina e infestata da parassiti, un luogo dove l’essere umano è ormai un ricordo ma dove sopravvivono rinchiusi in comunità rifugio, sofisticati e soccombenti androidi.

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    Saremo soli per poco, perché si unirà a noi un’intelligenza artificiale, una specie di “robottino” volante e parlante, che servirà come interprete tra giocatore, gatto e personaggi del gioco, oltre che essere il motore della cornice narrativa dell’avventura stessa.

     

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    Attraversiamo luoghi spaventosi e inquietanti dominati da pigolanti parassiti che si nutrono anche di metallo ai quali dobbiamo sfuggire in fugge da panico, pena l’unica forma di Game Over del gioco; ci inerpichiamo e saltiamo come in un “platform” ma senza la possibilità di cadere; risolviamo enigmi ambientali, conversiamo con gli automi e li aiutiamo mentre frammento dopo frammento conosciamo sempre più l’apocalittico passato di questo mondo senza più umanità.

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    FUGA PER RIVEDERE IL CIELO

    Lo spazio in tre dimensioni di Stray offre visioni suggestive, risultando affascinante da esplorare e conoscere nella sua vitalità e mortalità meccanica, architettonica e biologica.  Si tratta di un videogioco conciso, che può essere completato in un tempo che trascorre dalle sei alle otto ore circa, se si vuole godere appieno delle sue atmosfere, storie e panorami.

     

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    La relativa brevità di Stray non esclude tuttavia la densità e l’introduzione momentanea di nuove meccaniche; ad un certo punto avremo addirittura a disposizione un raggio violaceo per disintegrare i parassiti ma la “pacchia” dura poco e per fortuna, perché c’era il rischio di tramutare Stray in un bizzarro ma ripetivo “sparatutto” in terza persona.

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    Oltre l’esplorazione i segmenti di gioco più interessanti sono proprio quelli che includono l’interazione con i sopravvissuti robotici, facendo loro favori come recuperare spartiti musicali o piante rare.  Risulta interessante anche la colonna sonora elettronica e la sua fusione con i suoni; inoltre il controller  “dual-sense” di PlayStation 5 offre vibrazioni e rumori calcolati per suggestionare ulteriormente chi gioca.

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    Stray è un videogioco che merita di essere vissuto, non solo dagli appassionati di gatti, una novella fantascientifica riuscita e a tratti molto ispirata. Ma non aspettatevi una simulazione felina o il tentativo di realizzarne una in quanto, malgrado qualche superficiale allusione ai comportamenti di un gatto, Stray rimane un videogame umano e sull’umano dove l’animale non è che vettore di dinamiche ludiche più o meno convenzionali, trasformandoci in chimerici umani-gatti così come il suo protagonista in un gatto-umano.

     

     

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