Federico Ercole per Dagospia
return of the obra dinn
1807. A bordo dell’Obra Dinn, nave della Compagnia delle Indie Orientali, sono tutti morti. Come e perché dovrà intuirlo chi gioca, attraverso lo sguardo in soggettiva di un’agente londinese delle assicurazioni. Questa è la premessa misteriosa dell’opera nuova di Lucas Pope, che già sconvolse il pubblico con Papers Please, una dei giochi più dolorosi e umani della storia del videogame, prodigio indipendente nel quale il giocatore lavora come addetto al controllo dei documenti alla frontiera di un paese immaginario, ispirato ai regimi dell’Est Europa prima della caduta del Muro.
Return of the Obra Dinn, uscito l’anno scorso per PC e Mac, e ora arrivato su Switch, Playstation e Xbox, è un altro testo elettronico sulla verità, l’apparenza e la menzogna, ma se in Papers Please chi gioca interagisce con persone “vive”, assecondando o scardinando obiettivi e speranze, rivelando menzogne o ingannandosi, nel nuovo lavoro di Pope giochiamo con i morti. L’inevitabile si è già compiuto per i circa sessanta membri dell’equipaggio e i passeggeri; sta dunque a noi verificare come e perché, identificare i cadaveri e dare loro un nome.
return of the obra dinn
Tuttavia la cronaca di più esistenze colta nell’attimo cruciale di valicare un confine definitivo, qui tra la vita e la morte e in Papers Please tra una frontiera e l’altra, è ancora l’anima dell’idea ludica di Pope, che trasforma il gioco in indagine senza piegare i meccanismi investigativi al gioco, componendo e nel frattempo inducendoci a comporre, un sofisticato romanzo interattivo le cui pagine sono avvinte alle nostre speculazioni, all’intuizione e all’empatia, storie dissimulate e nascoste la cui rivelazione coincide con quella che nei videogiochi è la “vittoria”, il trionfo personale e appagante che è lo stesso di quando si superano i livelli più ostici in un “platform” o si sconfigge un boss di fine livello dopo decine di tentativi.
return of the obra dinn
In Return of the Obra Dinn non ci sono armi che non siano quelle dell’arguzia, della pazienza, dell’osservazione e della comparazione di dati; si tratta quindi di un simulatore di investigazione la cui profondità ludica supera il quasi-realismo, ma pur sempre videogiocoso, dello sfortunato a comunque eccellente L.A. Noire.
MEMENTO MORTEM
Per dissolvere le nebbie sull’infausto caso dell’Obra Dinn al giocatore viene affidato un orologio da taschino con la facoltà di farci ascoltare le parole e visualizzare il contesto durante il quale è avvenuto un decesso. Avvicinandosi ad un cadavere cogliamo le immagini congelate dell’azione letale, dove i corpi ancora sconosciuti degli attori sono colti nell’atto scatenante la morte o quello appena imminente. All’inizio siamo colti da un panico sottile, perché Lucas Pope ci pone di fronte a un mistero che sembra indecifrabile.
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Possediamo un libro dove vi sono scritti i nomi di tutto l’equipaggio e il loro ruolo, corredati da rari disegni che dipingono momenti collettivi della quotidianità navale, un glossario per spiegare termini marinareschi e la mappatura della nave.
E’ mettendo in relazione i vari elementi narrativi e scenografici della “scena del delitto”, i suoi protagonisti e i dati sul libro in nostro possesso che riusciamo ad intuire che quel nome appartenga a quel personaggio, a risalire al fatto che quel cadavere fosse quello del Nostromo, che sia stato accoltellato oppure schiacciato dal sartiame e nel caso chi l’abbia ucciso. Può essere sufficiente ascoltare le ultime parole di un morente per intuire la sua nazionalità da un’imprecazione in tedesco, quindi cercare nell’elenco dei passeggeri quelli di origine germanica e infine, in base ad altre prove, attribuirgli un’identità.
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Cadavere dopo cadavere, nome dopo nome, volto dopo volto, connettiamo i pezzi di una storia-puzzle dalle dimensioni monumentali, macabra e violenta, intrisa nel sangue di ammutinamenti, omicidi, catastrofi, grave di una maledizione definitiva come quella subita dai marinai di Rime of The Ancient Mariner di Samuel Taylor Coleridge riletta dagli Iron Maiden: “duecento uomini viventi (e io non udii né un gemito né un sospiro), con un grave tonfo, come una inerte massa, caddero giù l’un dopo l’altro”.
Non è affatto facile connettere l’intreccio romantico, proto-horror, de Il Ritorno dell’Obra Dinn, ma è proprio dalla comprensione, da quell’improvvisa illuminazione, dal successo inaspettato di una deduzione, che scaturisce un’esperienza ludica non comune fondata sul trionfo della ragione sull’irrazionale, della sapienza sull’ignoranza. E in un’era di “trofei virtuali” che ci premiano se uccidiamo venticinque soldati nemici con un colpo in testa o se raccogliamo i centocinquantanove semi magici nascosti per l’incantevole mondo dei Pony, che la logica sia l’unica arma per “vincere” un gioco è una cosa rara e soprattutto divertente.
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OPERA D’AUTORE A 1BIT
The Return of Obra Dinn ha un’estetica peculiare, quella dei giochi ancestrali sviluppati per i primi Macintosh, quindi una grafica ad 1bit e monocromatica. Il risultato artistico di questa scelta e il suo impatto sulle dinamiche di gioco è tuttavia drammatico e poetico, persino spettacolare nella sua dimensione artistica più scultorea che pittorica.
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Videogame realizzato da un uomo solo con pochissimi altri ad assecondare la sua visione, Return of the Obra Dinn non deve ingannarvi con la sua solo apparente astrusità, né allontanarvi con il suo illusorio minimalismo estetico, posto che questo non vi conquisti subito con le sue tetre e marittime monocromie e i suoi crudi panorami sonori, perché risulta una sfida con se stessi e contro l’ignoto disegnata, programmata e architettata da un artista del gioco con il genio “giallo” di Arthur Conan Doyle o di Agatha Christie.
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