Federico Ercole per Dagospia
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“Il perturbante è qualcosa che avrebbe dovuto rimanere nascosto e invece è affiorato”, scrisse Siegmund Freud. Una citazione estrapolata da Il Perturbante nell’Architettura di Anthony Vidler, un saggio esemplare sul disagio generato dai panorami domestici e urbani che si rivela una lettura assai utile prima di incamminarsi per lo spazio oscuro di Silent Hill, nel rifacimento del secondo episodio per Playstation 5 e PC uscito in origine nel 2001 per la seconda console di Sony.
Qualcosa che era stato rimosso sta davvero riaffiorando nella mente oppressa dal lutto, e soprattutto dall’impossibilità che il dolore si estingua, del protagonista James Sunderland dopo avere ricevuto una lettera dalla moglie defunta nella quale vi è scritto che ella lo aspetta nel “loro posto speciale”, l’immaginaria cittadina lacustre del nord-ovest americano chiamata Silent Hill. Un luogo disumano che come l’Overlook Hotel di Stephen King “crea mostri umani”.
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Risulta assai più difficile di un tempo vivere l’esperienza traumatica di Silent Hill 2, ogni passo è sempre più doloroso e opprimente che nell’originale; non è solo una questione di tecnologia e maggiore realismo, si tratta di una prospettiva di visione, quella della macchina da presa virtuale posta alle spalle del protagonista che consente, tramite la rotazione libera, uno sguardo indipendente e arbitrario, la decisione e la necessità di osservare lo spazio che alimenta una tensione continua, quasi insostenibile.
Un malessere che nel già comunque assai opprimente videogame del 2001 era soffocato anche se con vaghezza dalle inquadrature fisse. Inoltre non c’è più l’abitudine a tale disperato, mai ironico e neppure spettacolare modello di horror che non ha nulla del liberatorio terrore da luna park di quegli straordinari, a modo loro, tunnel dell’orrore che sono i Resident Evil. Silent Hill 2 si esperisce con un senso crescente di disperazione, di consapevolezza della tragedia, di sconsolata impotenza.
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Non c’è divertimento alcuno in Silent Hill 2, alcun sollievo se non quando lo i finisce e in questo sta la sua grandezza, perché ciò che vi è di perturbante è di un’innegabile bellezza. “Non insinuerei affatto che la bruttezza per se stessa sia un’idea di sublime, a meno che non sia unita a qualità tali da eccitare un forte senso di terrore”, scrisse il filosofo pre-romantico Edmund Burke e Bloober Team che ha realizzato questo eccezionale rifacimento è riuscita ad imporre alle architetture interiori ed esteriori di Silent Hill queste terribili, magnifiche caratteristiche.
NELLA NEBBIA
Così ancora una volta, o per la prima volta (coraggio!) ci muoviamo lenti per le vie di Silent Hill con una solennità fiacca che ricorda quella delle camminate di Bela Tarr o di Sokurov. Adesso le vie della cittadina non sono solo nebbiose ma bagnate, fradice di un’umidità sgradevole e trasandata; talvolta anche ventose di un aria violenta e non balsamica, ma brutale.
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Cerchiamo l’estinta Mary, ma incontriamo altri dannati in quest’inferno urbano mascherato da località turistica con la grazia orribile di un Michael Myers. Ci sono la stralunata, a tratti violenta Angela che vaga confusa sperando di trovare la madre; l’obeso e bulimico Eddie (mannaggia a te!); la dispettosa bambina Laura che sembra avere conosciuto la moglie di James. E c’è Maria, spogliarellista, che sembra proprio Mary o forse è come Mary avrebbe voluto essere se non si fosse ammalata, o come l’avrebbe voluta James nelle sue frustrate fantasie erotiche.
Ognuno di questi personaggi compone nel corso del “gioco” un insieme di novelle terrificanti e angosciose, una compagnia della disperazione la cui sofferenza si intreccia in maniera indissolubile a quella di James. E poi ci sono i mostri, pochi modelli come già nell’originale, ma meravigliosi nella loro disumana e insieme così umana forma ispirata dai disegni originali di Masahiro Ito e da questi supervisionata: sacchi di carne sigillati da una cerniera che si muovono senza braccia e su gambe sgraziate o strisciando verminosi vomitando veleno acido, manichini aracniformi che si celano immobili per attaccare d’improvviso, infermiere senza volto armate di bisturi o di mazze di ferro, qualche scarafaggio.
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Ci sono “boss” terrificanti e schifosi e c’è soprattutto quell’energumeno agghiacciante che è Pyramid Head, con la sua lama pesante e letale. Combattere queste creature, dalle quali spesso è saggio fuggire quando possibile, è più immediato che nell’originale, anche più truculento e in una maniera disgustosa persino gratificante, soprattutto quando le si finisce brutalmente con un tubo d’acciaio dopo che ci hanno ferito e tormentato. Possiamo usare anche armi da fuoco, ma i proiettili sono scarsissimi così come le medicine per curare James. Anche in modalità “normale” Silent Hill 2 risulta spesso ostico e punitivo.
Tuttavia il vero mostro di Silent Hill 2 è proprio la città con gli edifici che dovremmo visitare, luoghi dalla deprimente sciatteria che ad un certo punto sono feriti, alterati nelle loro già squallide forme da uno slittamento verso forme surreali e infernali: un labirintico condominio popolare, l’ospedale, il carcere, l’albergo... Ognuno di questi luoghi si esplora con un crescendo di ribrezzo, inquietudine e tormento. Ognuno si rivela sempre peggio di quello che lo ha preceduto in un’espansione costante di terrore e difficoltà.
Considerato che oltre la tensione, Silent Hill 2 tratta temi come la violenza sui minori, la tortura, l’omicidio di infanti e altre cose terribile, deve essere rigorosamente giocato da un pubblico adulto.
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LA MUSICA DELL’ORRORE
Il musicista Akira Yamaoka, già compositore magistrale dell’originale e degli altri episodi dell’antica serie Konami, torna a lavorare in questo remake componendo un capolavoro di musiche e suoni che è fondamentale nell’amplificare il sentimento di terrore che anima Silent Hill 2. Se si esperisce tutto il videogame con dei buoni auricolari è necessario fermarsi spesso, mettere in pausa il gioco, per non cedere all’ansia. Silent Hill 2 non è solo un’opera d’arte della visione/gioco perturbante ma del suono, anche laddove più melodico e lirico, come generatore di panorami sonori da incubo, di un’introspezione che traumatizza invece di curare.
Konami, dopo anni di vuoto e nullità videoludiche, prova a redimersi con quest’opera affidata con saggezza al Bloober Team e ci riesce in maniera inaspettata e notevole, anche se risulta difficile perdonarle la cancellazione di quel Silent Hill che avrebbe dovuto essere sviluppato da Hideo Kojima, forse la più grande perdita della storia dei videogiochi.
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Tuttavia Silent Hill 2 redivivo è un capolavoro dell’horror che va oltre il suo essere un videogioco, un’esperienza sfiancante e sgradevole per la quale, appena conclusa con un respiro di sollievo, si sente una strana e inspiegabile nostalgia. Il sublime della bruttezza.
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