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    DAGOGAMES BY FEDERICO ERCOLE - CON “FIRE EMBLEM THREE HOUSES”, FANTASY STRATEGICO PER SWITCH NINTENDO, DIVENTIAMO GLI INSEGNANTI DI UNA SCUOLA PER CAVALIERI - EPICA, TRAGEDIA, PENSIERO E PASSIONE IN UN CAPOLAVORO ESTIVO DELLA TATTICA E DELLA NARRAZIONE CHE CI FA GIOCARE ANCHE CON L’ETICA E IL SENSO DI RESPONSABILITÀ - VIDEO


     
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    Federico Ercole per Dagospia

     

    fire emblem three houses fire emblem three houses

    Fire Emblem, la serie di videogiochi strategici di Intelligent System per Nintendo, è sempre una questione di vita e di morte. Non giochiamo quindi solo per vincere, comandando i nostri piccoli e cavallereschi eserciti fantasy contro i malvagi di turno, ma per salvare ogni elemento delle nostra truppa di arcieri, spadaccini, maghi bianchi, stregoni o lancieri dalla “vera” fine, perché qui si può davvero morire: se sconfitto da un nemico il nostro valente soldato, magari potenziato attraverso ore e ore di gioco, pronuncia una struggente frase di commiato e “addio” non potremmo mai più resuscitarlo dopo la battaglia, come avviene invece in quasi tutti i videogame.

     

    Sembra una cosa da poco, la morte di un personaggio numerico, e in verità lo è, tuttavia una vaga tristezza, la consapevolezza di un fallimento e il ricordo dell’eroe estinto a causa della nostra inettitudine permarranno pungenti nella coscienza dei giocatori, perché almeno nei Fire Emblem la guerra è una cosa seria e spaventosa, non solo un gioco ma una questione di responsabilità.

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    Per aprire gli spazi immensi di una nuova epopea nel tessuto alterato di questa estate mutante e apocalittica, ecco dunque il nuovo Fire Emblem Three Houses per Nintendo Switch che alimenta ancora i nostri obblighi morali nei confronti dei soldati, trasformandoci non solo in comandanti ma nei loro insegnanti, in una pseudo Hogwarts sword & sorcery dove si insegna la guerra ma l’amore è libero e senza barriere di generi. Si può selezionare una modalità che consente alle proprie truppe di non estinguersi, ma non sceglietela perché nega uno degli aspetti più spietati e nel contempo appassionanti della severa e educativa strategia di Fire Emblem.

     

    A SCUOLA DI GUERRA MA NON SOLO

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    Dopo una lunga introduzione animata realizzata con indubbio fulgore registico e la necessaria epica per coinvolgere subito nel panorama narrativo del gioco, scegliamo il sesso del nostro giovane protagonista, figlio di un vetusto ma ancora possente cavaliere, e stingiamo un misterioso legame empatico con una fanciulla immemore dai capelli verdi, creatura divina che conversa immateriale da chissà quale altrove, un fantasma nel nostro cervello che ci da il potere di alterare il tempo, di riavvolgerlo su se stesso. Un potere davvero benedetto quando si tratterà di rimediare a qualche fatale errore, ma durante una battaglia lo potremo utilizzare solo tre volte.

     

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    Dopo una scaramuccia preliminare la nostra protagonista sarà condotta in un titanico monastero dove giovani aristocratici e “popolani” di nazionalità diversa studiano le discipline belliche e magiche per divenire cavalieri e protettori della Chiesa. Saremo noi ad istruire una di queste classi, dai suggestivi nomi e colori animaleschi di quasi “potteriana” memoria.

     

    L’inizio della nostra esperienza di docenti può essere traumatica per il giocatore novello a causa della quantità di opzioni e possibilità disperse in decine di menù diversi, della moltitudine di personaggi con i quali possiamo conversare, della ritmica severa delle lezioni e degli esami. Tuttavia ci vuole davvero poco per entrare nel ruolo di insegnante mentre realizziamo il lavoro impressionante svolto per trasformare decine di possibili comparse elettroniche in veri personaggi.

     

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    Ognuno degli  “attori” di Fire Emblem Three Houses è caratterizzato con arte narrativa e illustrativa, possiede una sua storia complessa che costruisce un passato, ha sogni, speranze e paure e attraverso lunghe conversazioni impariamo a conoscere tutti, percependo un’affezione nei loro confronti maggiore di quella già comunque potente provata negli altri Emblemi del Fuoco.

     

    L’intreccio si dipana mese dopo mese, diventando sempre più contorto, cupo e tragico mentre le battaglie si alternano alle lezioni, all’esplorazione libera del monastero, all’ozio, alla pesca, alla coltivazione, agli esami, al reclutamento di utili mercenari, all’acquisto di nuovo equipaggiamento e a giochi d’amore e seduzione durante la degustazione di un tè raro.

     

    COMBATTERE CON IL CUORE E CON IL CERVELLO

    Le battaglie di Fire Emblem Three House si svolgono su vaste arene dalla morfologia sempre varia, boschi e praterie, sotterranei, villaggi ridotti in ruderi, roventi declivi vulcanici. Lottiamo a turni muovendo i nostri soldati secondo i quadranti di una scacchiera che segmentano il luogo designato per il conflitto.  Vediamo i soldati dall’alto, attraverso una visuale isometrica, sebbene l’inquadratura sia personalizzabile.

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    Quando due unità si trovano a portata delle loro armi ecco che l’immagine si fa ravvicinata, mostrandoci il duello con preziosi particolari visivi. Non siamo certo di fronte ad una realizzazione tecnica impressionante, tuttavia questa è funzionale all’azione e non è certo la “grafica” l’eccellenza di Fire Emblem, ma l’arte con cui è disegnato, musicato e pensato per essere una formidabile esperienza di gioco.

     

    Durante le battaglie, che possono durare decine e decine di minuti, non possiamo mai distrarci o scegliere d’istinto, in una partita a scacchi contro una punitiva intelligenza artificiale e la fortuna, spesso infame. Giochiamo con il cervello, tesi a vincere, ma è con il cuore che impartiamo gli ordini, sperando che nessuno dei nostri amati alunni sia ucciso dal nemico.

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    Fire Emblem Three Houses, contenitore di più storie e garante di centinaia di ore di gioco, ci fa giocare con la vita, sebbene in fondo sia solo quella di numeri, e non solo per estinguerla come nella maggior parte dei videogiochi ma per tutelarla. Cosicché, anche quando trionfiamo sul nemico, uccidendo i nostri rivali e sopravvivendo, ci sentiamo un po’ in colpa perché chissà, forse anche quelle meschine, malvagie oppure solo traviate ed elementari forme di vita digitale avevano una ragione per continuare ad esistere e qualcuno da amare.   

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