giorgia meloni
DAGOREPORT
Dopo cinque mesi e mezzo di governo Meloni, lo scenario dei conflitti potenziali è chiaro: l’esecutivo guidato da “Io sono Giorgia” non ha nulla da temere dalle opposizioni, sempre più divise, rissose e in cerca di identità.
I guai arrivano dall’interno. La maggioranza di centrodestra, che non è stata coesa neanche per salvare le apparenze, è agitata da un crescente malcontento verso l'atteggiamento autoritario della Ducetta della Garbatella.
Lo sbarco dai "tombini" di via della Scrofa nella stanza dei bottoni di Palazzo Chigi ha inevitabilmente titillato gli appetiti di ex missini, forzisti, leghisti e peones. Ciascuno vorrebbe partecipare al gran buffet del potere e rivendicare la sua fetta di torta. Almeno dire la sua.
MELONI FAZZOLARI
Invece Giorgia Meloni, presidiata dalla sua falange di pretoriani (Fazzolari, Mantovano, Lollobrigida, Donzelli), non intende gestire il potere in modo collegiale: decide lei. Punto.
E gli altri obbediscono: se non gli sta bene, s’attaccano. Il mantra è: "Io sono Fratelli d'Italia"; il tormentone è: “ho vinto le elezioni, comando io”: dalle nomine alle riforme, dalla politica estera all’economia, il pallino del gioco deve essere nella mani della Ducetta.
GIORGIA MELONI MATTEO SALVINI - BY EDOARDO BARALDI
Una declinazione post-moderna e garbatellara de “l’Etat, c’est moi!”, l’espressione attribuita al re di Francia Luigi XIV quando decise di concentrare i poteri dello Stato sulla sua persona.
Così Salvini, per marcare il territorio, sgancia il fido rotweiler Calderoli sull’Autonomia. Subito Donna Giorgia ha manifestato perplessità e non vuole assecondare le ambizioni della Lega.
La premier ha sfilato al Mef (come immaginato da Mario Draghi e Daniele Franco) la gestione del Pnrr e ha affidato la colossale rogna al fido Raffaele Fitto, con l’intento di portare il dossier sotto l’occhiuto controllo di palazzo Chigi. Ovviamente il "trasloco" dal Mef a Fitto, ripartendo da zero, ha comportato e comporta inevitabili ritardi, a partire dalla scelta di funzionari e tecnici, fino al punto che Fitto ha chiamato in causa Draghi e annunciando che alcuni progetti sono "irrealizzabili". L'ennesima grandiosa figura di merda con Bruxelles.
giorgia meloni e raffaele fitto
Sulle nomine Donna Giorgia, che ha ormai calzato il cappello di Napoleone, gioca a nascondino con gli alleati: via Fazzolari fa saltare i tavoli di maggioranza e rintuzza le pressioni con l’obiettivo malcelato di decidere in solitudine, alla Renzi, con un blitz sul gong.
La sua strategia è legata alla convinzione che, oltre al suo ''paggetto'' Tajani, il ministro dell’Economia Giorgetti (che dovrà firmare le nomine nelle partecipate) la stia spalleggiando.
In realtà l’economista di Cazzago Brabbia (più Cazzago che Brabbia) resta il semolino di sempre, attento a fare un passo avanti e due indietro e tre di lato. Allora il mite Giorgetti è stato già preso per la collottola dal suo segretario, Matteo Salvini: “Non ti azzardare a firmare nessuna nomina se non passa prima sotto i miei occhi. Devo essere d’accordo anche io”. Punto.
GIANCARLO GIORGETTI E GIORGIA MELONI
Il Capitone, che dopo la botta alle elezioni politiche ha ritrovato ossigeno dopo le vittorie alle regionali in Lombardia e Friuli, ora gioca su più tavoli per rosicchiare visibilità e potere alla Meloni.
Non solo non ha chiuso il canale diplomatico con Licia Ronzulli ma, con un abile lavoro di “seduzione”, Salvini ha portato dalla sua parte il governatore forzista del Piemonte Alberto Cirio: ha promesso che gran parte delle gare previste per le Olimpiadi invernali Milano-Cortina 2026 si terrà a Torino (soprattutto dopo le numerose criticità rilevate dai tecnici della Federazione Internazionale Ghiaccio sul progetto di pista di pattinaggio in Lombardia).
ignazio la russa sergio mattarella giorgia meloni
L’affondo sul Pnrr del capogruppo leghista alla Camera, Riccardo Molinari, (“Valutare se rinunciare a parte dei fondi. Meglio non spendere i soldi che spenderli male”) è un pizzino mandato per conto di Salvini: bisogna decidere collegialmente.
Anche dentro Fratelli d’Italia il decisionismo di Giorgia Meloni crea disagio (eufemismo), e non solo tra quelli che più esplicitamente la avversano come il suo ex mentore Fabio Rampelli, arci-avversario del cognato Lollobrigida, e la sua corrente dei “Gabbiani”.
Il presidente del Senato, Ignazio La Russa, ad esempio, soffre per la gabbia istituzionale della presidenza del Senato in cui (anche giustamente) la Ducetta vuole rinchiuderlo. Il mai paludato ‘Gnazio vuole avere un ruolo politico, non intende recitare la parte del vecchio arnese arrugginito, parcheggiato su uno scranno di rappresentanza.
guido crosetto giorgia meloni centenario aeronautica militare
La sparata sull’attentato di via Rasella (“E’ stata una pagina tutt’altro che nobile della Resistenza: quelli uccisi furono una banda musicale di semi-pensionati e non nazisti delle SS”) dimostra che La Russa non vuole essere messo in un angolo né lasciare il centro della scena solo a Giorgia.
viktor orban giorgia meloni ursula von der leyen
Anche l'amour fou per Bruno Vespa ha fatto girare i testicoli di Giampaolo Rossi, che si è ritrovato messo da parte da plenipotenziario Rai di FdI dal carisma e esperienza di Bru-neo. E allora ha iniziato a inciuciare con l'ibrido Mario Orfeo.
Il malcontento nella maggioranza non agevola i grandi piani della Meloni per le elezioni europee del prossimo anno: il suo sogno è rompere il tradizionale asse tra popolari e socialisti, e creare un nuovo equilibrio basato sull’alleanza, pendente a destra, tra Ppe e i conservatori di Ecr, gruppo di cui è presidente.
Il progetto è talmente ambizioso da provocare reazioni da parte dell’establishment europeo reticente a mollare la presa su Bruxelles. In questo contesto, forse, va letta l’inchiesta della magistratura tedesca su Mario Voigt, considerato molto vicino al presidente del Ppe, Manfred Weber, che, grazie ai suoi rapporti di amicizia con Tajani, è la sponda popolare al piano di Giorgia.
MANFRED WEBER INCONTRA GIORGIA MELONI A PALAZZO CHIGI - 11 NOVEMBRE 2022
Altra forma di resistenza a questo grande piano sarebbero i recenti sommovimenti a Berlino: nella capitale tedesca il partito socialdemocratico di Scholz e la Cdu hanno infatti firmato il patto per governare la capitale insieme.
Insomma, torna la Grosse Koalition, la grande coalizione che ha guidato la nazione nel quindicennio merkeliano.
Un primo segnale verso il ritorno delle grandi intese anche nel governo nazionale? Si vedrà, di sicuro il cancelliere, Olaf Scholz, messo sotto inchiesta per aver agevolato una frode fiscale miliardaria quando era sindaco di Amburgo, è sotto pressione. Ma un ritorno all’inciucione a Berlino potrebbe causare un effetto domino anche a Bruxelles, e tradursi in un ritorno della solita alleanza tra socialisti e popolari.
giorgia meloni olaf scholz
Il desiderio della Meloni di essere architetto dei nuovi euro-assetti non piace per niente a Matteo Salvini, che non vuole essere oscurato e marginalizzato dall’intraprendenza della premier.
Il suo partito nel Parlamento europeo, Identità e democrazia, potrebbe risultare fortemente ridimensionato, come dimostra già l’uscita dei “Veri finlandesi”, il partito sovranista di Helsinki che proprio ieri ha annunciato il passaggio a Ecr.
Ps: Sulle nomine, con le scontate conferme di Claudio Descalzi all’Eni e Matteo Del Fante a Poste, e la ormai quasi certa nomina di Lorenzo Mariani alla guida di Leonardo, il cetriolo da affettare riguarda Enel. Salvini ha posto il veto all’ipotesi di nominare ad Stefano Donnarumma. Ma quello del leghista è un veto strumentale: magari servirà a ottenere uno Scaroni in cambio o la guida delle Ferrovie.
IL CAMMINO DELLA SPERANZA - LE NOMINE BY MACONDO MELONI E DESCALZI IN LIBIA la conquista della poltrona vignetta by macondo URSULA VON DER LEYEN E GIORGIA MELONI