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Marco Bresolin per “La Stampa”
Potrebbe essere vicina a una svolta la trattativa all' Ocse per introdurre un' aliquota minima globale per l' imposta sulle società. La spinta è arrivata dal dipartimento del tesoro degli Stati Uniti che ha ufficialmente proposto di fissarla al 15%, a un livello inferiore rispetto al 21% inizialmente ipotizzato dall' amministrazione americana.
joe biden janet yellen
Il piano ha subito trovato consenso su questa sponda dell' Atlantico tra i governi delle principali economie europee. Persino i Paesi Ue dal fisco più generoso verso le multinazionali - sin qui decisamente contrari a un intervento di questo tipo - ora sembrano disposti ad accettarla, purché non si vada oltre il 15%.
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Con queste premesse, i ministri delle Finanze del G20 potrebbero siglare l' accordo politico al vertice in programma il prossimo 9-10 luglio a Venezia, per poi finalizzare i dettagli tecnici entro la fine dell' anno, probabilmente già a ottobre. Per il ministro del Tesoro Daniele Franco, che detiene la presidenza del G20, «si tratta di un altro passo importante verso un accordo sulla nuova architettura fiscale internazionale: l' Italia sta compiendo tutti gli sforzi per garantire il raggiungimento di un accordo politico alla riunione del G20 di luglio a Venezia».
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Nei mesi scorsi il dibattito all' Ocse ruotava attorno a una possibile aliquota minima del 12,5% (che porterebbe oltre 80 miliardi di euro in più nelle casse dei governi ogni anno), per questo il 15% proposto ora dalla segretaria al Tesoro Usa, Jenet Yellen, è stato accolto con favore dagli europei, dove il tema del dumping fiscale è estremamente sensibile per via delle enormi disparità tra gli Stati membri. Il tema ha tenuto banco a margine della riunione informale dell' Eurogruppo/Ecofin di ieri a Lisbona, che proseguirà anche oggi. Tra i più entusiasti - oltre a Franco - i ministri delle Finanze di Germania, Francia e Spagna.
bruno le maire emmanuel macron
Per il francese Bruno Le Maire l' ultima proposta americana «può essere un buon compromesso», ma Parigi chiede che l' accordo includa anche le multinazionali del digitale. Sulla stessa linea il tedesco Olaf Scholz, per il quale il piano Usa rappresenta un grande progresso: «Dobbiamo contrastare la corsa al ribasso delle grandi piattaforme digitali». Ma l' ambito di applicazione sarà oggetto di un altro delicato negoziato, visto che gli Usa vorrebbero limitarlo alle 100 multinazionali più grandi.
angela merkel e olaf scholz,
All' interno dell' Unione europea il dibattito è tutt' altro che semplice, visto che l' Ecofin si è già dimostrato incapace di trovare un accordo sulla Digital Tax negli scorsi anni.
L' opposizione di alcuni governi che ospitano le sedi delle multinazionali del digitale è sempre stata forte, oltre che oggetto di scontro con la Commissione europea per i vantaggi fiscali offerti a tali società: soltanto pochi giorni fa la Corte di Giustizia Ue ha annullato la decisione di Bruxelles che imponeva ad Amazon di restituire 250 milioni di euro al governo lussemburghese.
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Fonti diplomatiche assicurano però che il 15% messo sul piatto dagli americani potrebbe convincere l' Irlanda, dove l' imposta sulle imprese è al 12,5%: il fatto che il suo ministro delle Finanze, Paschal Donohoe, sia presidente dell' Eurogruppo certamente potrebbe giocare un ruolo, anche se lui al momento resta cauto. Prudente anche il Lussemburgo, mentre non è affatto scontato il "sì" dell' Ungheria di Viktor Orban, dove le imprese pagano il 9% di imposte.