cassa integrazione
Claudio Antonelli per “la Verità”
La manovra da poco vistata dal Consiglio dei ministri prevede per la cassa integrazione 5 miliardi. Con un piccolo trucco. Non specifica, infatti, che almeno 4 sono frutto delle minori spese sostenute da febbraio in avanti. E soltanto 1 miliardo proviene dal nuovo bilancio 2021. Ciò significa da un lato che le minori spese possono essere messe a copertura retroattiva per ulteriore cassa integrazione, dall'altro che lo schema previsto dal decreto Agosto non cambia. Tradotto, dal prossimo 16 novembre le aziende che avranno utilizzato l'intero pacchetto di ammortizzatori richiesto e non faranno ulteriore domanda potranno avviare le pratiche per i licenziamenti collettivi o individuali.
Le aziende che non hanno mai usato la Cig dovranno invece attendere il primo gennaio 2021 per valutare eventuali scissioni di contratto. Mentre nel complesso con l'avvio del 2021 si tornerà alle vecchie regole del mercato. No licenziamenti se si utilizza la Cig. Sì ai licenziamenti collettivi o individuali per tutte le altre aziende nei limiti del codice civile e dei contratti. Ribadirlo può sembrare sciocco. In realtà, nonostante le proteste di sigle sindacali come la Uil o la Cgil, il ritorno alla normalità permetterà dopo la fine della crisi da Covid una ripartenza più veloce.
cassa integrazione
Il problema adesso però sono le tempistiche con cui il governo si appresta a gestire le dinamiche del mondo del lavoro.Abbiamo sempre sostenuto che il divieto di licenziamento o la cassa integrazione forzata fossero un doping dannoso. Non abbiamo cambiato idea. Solo che sbloccare i licenziamenti in concomitanza con un nuovo lockdown economico (il coprifuoco alle 22 o alle 23 causerà immani danni alla ristorazione e al mondo dell'horeca - hotellerie-restaurant-café). Vorrebbe dire tagliare artatamente i fatturati e allo stesso tempo «suggerire» l'alleggerimento del costo del lavoro. Forse anche per questo, di fronte alle proteste dei sindacati, il ministro dell'Economia, Roberto Gualtieri, si è detto disponibile a mettere nuovamente mano alle norme.
roberto gualtieri valdis dombrovskis
«Stiamo valutando come collegare la cassa Covid al regime sui licenziamenti», ha detto. «Abbiamo introdotto il divieto che con l'estensione della cassa prorogheremo fino alla fine dell'anno e stiamo valutando insieme ai sindacati delle modalità per garantire anche nella fase di emergenza una adeguata tutela», ha aggiunto ribadendo che «in ogni caso tutte le imprese che useranno la cassa Covid non potranno licenziare». In realtà, il conto alla rovescia è già partito. O il governo farà un nuovo decreto per prorogare il divieto di licenziamento e al tempo stesso destinare quei 4 miliardi su 5 in gran parte al 2020 altrimenti tutto tornerà come prima del lockdown di marzo.
L'effetto collaterale che i fondi per il 2021 si ridurranno drasticamente e come tutte le coperte corte lasceranno scoperto qualcosa. «Non vogliamo chiedere la proroga del divieto», spiega a La Verità, Paolo Capone segretario Ugl, «per noi è una droga pericolosa che può fare danni, vorremmo però sapere che cosa succederà dopo». Il riferimento è in ogni caso alla prossima primavera. L'Ugl stima che da quando tornerà la possibilità di licenziare si troveranno a rischio 850.000 lavoratori. La Cgil prevede che possano essere addirittura un milione i probabili licenziamenti. «Temiamo», prosegue Capone, «che a quel punto i fondi per la Naspi non siano sufficienti. Su questo tutte le sigle vorrebbero avere rassicurazioni politiche che invece non stiamo ricevendo». Il motivo per cui non arrivano non è poi così difficile da comprendere. Sta tutto nel falso ottimismo su cui si basa la manovra. Se Giuseppe Conte dovesse ammettere che il 2021 sarà funestato da richieste di Naspi, sarebbe costretto a smontare il calcolo di rilancio del Pil che a sua volta permette di inserire nei file excel (inviati a Bruxelles) percentuali di gettito fittizio. Basti vedere che nel documento programmatico di bilancio, i giallorossi mettono a copertura per il 2022 ben 12,9 miliardi e per il 2023 circa 7 miliardi con la voce «retroazione fiscale». In pratica si aspettano che l'economia, grazie ai progetti (al momento fantasma) finanziati dall'Ue, crescerà e quindi gli italiani guadagneranno più soldi e poi pagheranno più tasse.
giuseppe conte roberto gualtieri
Premesso che - con la stessa logica - se si tagliano le tasse e da ciò deriva una maggiore crescita economica, allora si dovrebbe poter usare quello stesso extragettito a copertura finanziaria. Invece è proibito. Ma soprattutto sono i numeri così elevati a essere incomprensibili. «Uno dei pochi precedenti che si ricordano di valorizzazione degli effetti di retroazione come strumento di copertura è la legge di bilancio per il 2017 (ultima del governo Renzi), nell'ambito della quale fu ammessa la valorizzazione nella misura di 350 milioni di euro sul 2017, 1,05 miliardi di euro nel 2018 e 2,2 miliardi di euro nel 2019», spiega Enrico Zanetti, già vice ministro dell'Economia.
«Quanto basta per capire che la stima dei giallorossi, merita l'aggettivazione "stupefacente" e impone più di qualche domanda e approfondimento», conclude Zanetti. Purtroppo l'onda lunga del Covid, l'imposizione dei coprifuoco e le stime di licenziamenti nel 2021 non consentiranno al nostro Pil di salire nemmeno se arrivassero in tempo i soldi del Recovery fund. Quindi nel 2022 ci saranno quasi 13 miliardi di tasse in più da versare.