Donato Martucci per corriere.it
Un ritorno al passato per sopravvivere, per sbarcare il lunario. Agostino Cardamone, ex campione del mondo di pugilato, 57 anni, irpino, torna a fare il carpentiere per necessità. Venne soprannominato negli Anni 80, «il martello di Montoro» proprio perché sin da giovanissimo lavorava come muratore e si allenava per diventare un grande campione della “nobile arte”.
AGOSTINO CARDAMONE 49
E anche per la sua capacità di picchiare duro sul ring che lo ha portato a diventare campione italiano, europeo e mondiale nella Wbu (ente non riconosciuto in Italia) nei pesi medi. Un record da professionista da invidiare: 36 incontri con 33 vittorie (15 prima del limite) e solo tre sconfitte.
Ora la pandemia da Covid ha messo in ginocchio la sua palestra di San Michele di Serino, dove lavora come istruttore. E quindi, non potendo tornare a combattere, ha impugnato di nuovo il suo martello. Questa volta per lavorare in un cantiere a Prata di Principato Ultra, sempre in provincia di Avellino. «In un modo – ha spiegato – devo pure mangiare. Nessuno mi è venuto incontro, nessuno mi ha aiutato e allora sono tornato a fare il muratore».
A 20 anni alternava il lavoro da muratore con la boxe. Ora ha deciso di ritornare a fare lavori pesanti. Come ha maturato questa decisione?
«Mi aspettavo qualcosa in cambio dal Comune di Montoro e invece sto ancora aspettando la mia palestra. Ho sette ragazzi agonisti - spiega l’ex pugile - che si allenano con me.
AGOSTINO CARDAMONE 19
Tra spese varie, bolletta della luce e costi di gestione non ce la faccio ad andare avanti. I miei allievi non li abbandono, ma devo pur continuare a vivere: ho tre figli e non posso andare avanti in questo modo. San Michele di Serino è un centro agricolo ma c’è poca affluenza ed ecco perché ho deciso di tornare a lavorare».
Il suo è un grido di allarme, si aspettava maggiore attenzione?
«Ci sono degli amici che mi hanno dato una mano e devo ringraziarli. Ho trovato una famiglia che mi ha accolto qui a Prata di Principato Ultra. Sono stato campione italiano, ho perso il mondiale Wbc contro Jackson che proprio uno sconosciuto non era, miglior pugile nel 1998, collare d’oro e poi ho anche vinto il mondiale Wbu.
AGOSTINO CARDAMONE 19
Ma a cosa servono questi riconoscimenti se non riesco a trovare un lavoro che mi dia dignità? Da professionista vivevo con i guadagni della boxe. Sono riuscito a comprare un terreno a Montoro e a costruirmi casa, ma poi chiaramente non ce la faccio ad andare avanti: ho bisogno di guadagnare».
La boxe le ha lasciato anche degli acciacchi fisici. Come fa alla sua età a sostenere questi sforzi?
«E proprio per questo non riesco a lavorare tutti i giorni come carpentiere. Ho diverse fratture, grossi problemi alla schiena: per anni mi sono caricato sulle spalle 50 chili con i sacchi di cemento. Solo alla mano sinistra (quella con cui martellava gli avversari, ndr) ho sette fratture. Con l’età i dolori aumentano ed ecco perché faccio un enorme fatica».
Il sogno è quello di allenare in Nazionale. Magari al centro tecnico dell’Esercito di Avellino...
«Con la mia esperienza penso di poter dare una mano ai giovani. Come tecnico federale ho lavorato per 15 giorni, ho visto grande tecnica e grinta più nelle donne che negli uomini. Con questo nuovo corso della Federazione stanno cambiando tante cose e speriamo che si inverta un po’ la tendenza e che i pugili possano qualificarsi alle prossime Olimpiadi. Credo che i miei insegnamenti possano essere ancora validi. Lavorare in Federazione mi piacerebbe».
Cardamone, ha saputo più nulla della sua domanda per il vitalizio “Giulio Onesti”, previsto per gli atleti che versino in grave disagio economico e che abbiano conquistato nella carriera sportiva almeno un europeo?
agostino cardamone
«Resto in attesa di avere notizie, ma di certo non posso aspettare. Questo non è sicuramente un buon periodo per me. Ho perso nel giro di pochi mesi mia madre e anche il mio storico maestro Giovanni Santoro: devo tanto a lui per la mia carriera. Tengo a precisare che non chiedo l’elemosina a nessuno, ma sono restato nel mio paese perché amo le mie radici. Non voglio il reddito di Cittadinanza: preferisco andare a lavorare quando posso e quando le mie condizioni fisiche me lo consentono. C’è grande amarezza: speravo di aver dato tanto per la mia terra, ma al momento in cambio non ho ricevuto nulla».